La Corte d'Assise d'Appello di Bologna l’ha giudicata non colpevole della morte della 78enne Rosa Calderoni e l'ha assolta anche per quella del 94enne Massimo Montanari. Entrambi i pazienti erano deceduti in corsia tra marzo e aprile 2014. Nel primo caso, all'ergastolo inflitto in primo grado erano seguite due assoluzioni in Appello annullate da altrettante Cassazioni
Doppia assoluzione per Daniela Poggiali, l’ex infermiera imputata per l’omicidio di due pazienti all’ospedale Umberto I di Lugo (Ravenna). La Corte d’Assise d’Appello di Bologna l’ha giudicata, per la terza volta, non colpevole della morte della 78enne Rosa Calderoni; e l’ha assolta anche per quella del 94enne Massimo Montanari. Entrambi i pazienti erano deceduti in corsia tra marzo e aprile 2014. Nel primo caso, all’ergastolo inflitto in primo grado (2016) erano seguite due assoluzioni in Appello (2017 e 2019), annullate da altrettante Cassazioni (2018 e 2020): una situazione quasi inedita a livello nazionale. Nel caso Montanari, invece, la pena inflitta in primo grado a dicembre 2020 era stata di trent’anni per la scelta del rito abbreviato. Per entrambe le vicende la Corte ha ritenuto il fatto non sussistente. La Procura generale emiliana aveva chiesto la conferma delle due condanne. Ora i fascicoli sono attesi in Cassazione.
I giudici hanno ordinato l’immediata scarcerazione di Poggiali, che quindi tornerà libera come già nel luglio 2017, dopo la prima assoluzione per il caso Calderoni arrivata dopo mille giorni di carcere. “Sono felice, non poteva che andare così”, ha detto. Calderoni era entrata in ospedale con un banale malore ed era morta senza spiegazioni pochi giorni dopo, l’8 aprile del 2014. Gli accertamenti avevano svelato nel suo sangue una presenza anomala di potassio che aveva insospettito l’azienda sanitaria, da cui la segnalazione alla Procura di Ravenna e il successivo arresto: nel cellulare di Poggiali era stato trovato anche un macabro selfie accanto a un cadavere. Nel chiedere l’assoluzione, i difensori dell’ex infermiera hanno definito le indagini sul caso “fai da te“, “inaffidabili” e “abusive“, con particolare riferimento alle modalità di repertazione di un deflussore con tracce di potassio da parte degli infermieri dell’Azienda sanitaria.
Diversi i contorni del caso di Massimo Montanari, ricoverato a Lugo per un’infezione polmonare – regredita grazie agli antibiotici – e morto in corsia la notte prima delle dimissioni, il 12 marzo del 2014. Secondo la tesi accusatoria, quella notte Poggiali si era offerta di sostituire una collega nel “giro delle glicemie” ai pazienti del settore, un espediente per poter entrare nella stanza di Montanari e somministrargli la dose di sostanza letale, presumibilmente cloruro di potassio: il gup di Ravenna aveva accolto la ricostruzione condannando l’imputata a trent’anni per omicidio aggravato da premeditazione, uso di sostanza venefica, abuso di potere e motivi abbietti. Il movente, infatti, era stato riconosciuto in una minaccia di morte rivolta nel 2009 all’uomo, al tempo datore di lavoro dell’ex compagno della Poggiali.