La sua faccia vale 177 milioni di euro e David Beckham ha scelto di offrirla al Qatar, diventando così il testimonial dei prossimi Mondiali di calcio 2022. Ma la decisione dell’ex stella della Nazionale inglese ha scatenato le proteste delle organizzazioni non governative in difesa dei diritti umani che l’hanno accusato di aver ignorato le ripetute violazioni commesse da Doha e di essersi prestato a un’operazione di “sportwashing“.

Non solo un ruolo da comparsa, quello che la piccola monarchia del Golfo, che nel pallone investe già da diversi anni, ha però chiesto all’ex centrocampista di Manchester United, Real Madrid e Milan: il suo compito, in vista della cerimonia di apertura del prossimo inverno, sarà quello di promuovere l’immagine del Paese in giro per il mondo, con particolare attenzione a “turismo e cultura”. Un ruolo attivo, quindi, che però ignora totalmente le questioni relative al rispetto dei diritti umani.

Qualcosa d’inaccettabile per tanti attivisti, i quali da anni criticano con forza anche governi e istituzioni sportive globali per aver avallato la candidatura qatariota a Paese ospitante della prossima Coppa del Mondo. E molte di queste hanno accusato lo Spice Boy di aver “venduto l’anima” al diavolo a sostegno di uno Stato che discrimina, quando non perseguita, “donne e omosessuali”. E di averlo fatto per “pura avidità”, non avendo certo alcuna ristrettezza economica da coprire. E in prima fila c’è Amnesty International Uk, i cui dirigenti stanno facendo pressione direttamente sull’ex centrocampista, sollecitandolo “a informarsi sulla situazione dei diritti umani, profondamente preoccupante in Qatar”. Lo scenario di un Paese in cui, dietro una facciata fatta di modernità, si registrano per esempio “maltrattamenti di lunga data nei confronti dei lavoratori immigrati“, talora ai limiti dello schiavismo, spiega Sacha Deshmukh, numero uno della ong in Gran Bretagna. Senza dimenticare le violazioni in materia di libertà di espressione o “la criminalizzazione delle relazioni” gay. “Il maltrattamento da parte del Qatar dei lavoratori migranti, il cui duro lavoro sta rendendo possibile la stessa organizzazione dei mondiali, è particolarmente allarmante – ha affermato – Nonostante alcune riforme, molti continuano infatti a non essere retribuiti adeguatamente e le autorità non sono riuscite a indagare sulle migliaia di morti avvenute negli ultimi dieci anni” a causa di condizioni d’ingaggio spesso impermeabili anche alle minime norme di sicurezza.

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