Due giorni fa ho avuto il piacere di assistere ad una splendida lectio magistralis sul tema dell’iconografia della sicurezza, condotta dal prof. Tomaso Montanari, neo rettore dell’Università per Stranieri di Siena.
Il professore è partito dalla definizione del lemma “sicurtà” o “sicurezza”, che il dizionario della lingua italiana Battaglia indica come “tranquillità interiore, serenità d’animo, assenza di inquietudine, assenza di sospetto” e solo poi, “come conseguenza di questa dimensione interiore”, aggiunge la definizione “essere al sicuro da pericoli e insidie” e la voce “sicurezza sociale”. Di tale idea di sicurezza Montanari ha fatto un excursus artistico, passando in rassegna diverse opere d’arte italiane ed evidenziando come, in tutte queste, l’iconografia della “sicurtà” fosse intesa come dominio sulla paura. “La sicurezza – conclude lo storico – nella tradizione della nostra storia dell’arte è il contrario della paura, con la sua connaturata incertezza. La sicurezza fa parte dunque di un sistema di governo, di una concezione della cosa pubblica, ma prima della coltivazione dell’animo di chi è chiamato a reggere la cosa pubblica. Questi esempi parlano di un’immagine della sicurezza costruita rassicurando, non costruita terrorizzando… Tutta questa retorica per immagini dice una cosa sola: la paura è un nemico da combattere, non uno strumento di governo da alimentare“.
Alla visione di una sicurezza fondata sul dominio della paura, si contrappone quella fondata sulla paura. Secondo il prof. Montanari, rientra in quest’ultima categoria l’iconografia scelta, per esempio, dal sito web ufficiale dei Servizi Segreti italiani. In una pagina, infatti, viene ripresa parte di un affresco di Ambrogio Lorenzetti, dal titolo Effetti del Buon Governo, con tanto di spiegazione a margine: “Il dipinto… doveva servire come guida per il governo locale, ispirando la classe dirigente ad amministrare saggiamente e proficuamente Siena. Gli affreschi contengono molti elementi simbolici e trasmettono una serie di importanti messaggi di natura politico-istituzionale”.
Interessante la fonte citata nella pagina governativa: il libro Securing the State (pubblicato nel 2010 da David Omand, già alto dirigente dell’intelligence britannica), nel quale – citando ancora il nostro sito governativo – “vengono esaminati in profondità gli aspetti più rilevanti delle politiche di sicurezza nazionale contemporanee e dell’attività di intelligence”, attualizzando “le figure simboliche adoperate dal Lorenzetti, scegliendole come punto di riferimento per lo sviluppo delle strategie di sicurezza di un Paese”.
La copertina del libro di Omand raffigura la Securitas del dipinto del Lorenzetti, ritratta come una donna alata, seminuda e sorridente, che solleva con il braccio destro un cartiglio e con il sinistro un uomo impiccato, e suggerisce, come ha spiegato Montanari, “la necessità di impiccare l’uomo, di vederlo, di ostentarlo impiccato per mantenere la santa giustizia“. Ma non solo: se si allarga lo sguardo sul resto del dipinto, si osserva come “quella sicurezza sanguinaria veglia su una campagna in cui l’ordine da mantenere è anche l’ordine sociale, che non può cambiare: i poveri lavorano duramente ma, contemporaneamente, i ricchi escono a caccia, proprio sotto la Securitas con l’impiccato. La garanzia di quel lusso, di quel dominio di classe, è la sicurezza, fondata sulla paura e sulla repressione. …Non c’è dubbio che la forca, così come oggi il carcere, toccasse soprattutto, anzi, quasi esclusivamente ai poveri”.
Mentre ascoltavo il professor Montanari parlare di carcere, di Servizi segreti e di poveri, non ho potuto fare a meno di pensare a come, per contro, benefici e “grazie” sono stati concessi spesso a chi, colpevole di crimini orribili come furono le stragi o gli omicidi della criminalità organizzata, per scelta non ha mai collaborato con la giustizia. L’ultimo tentativo, in ordine di tempo, è quello avanzato in beneficio del “povero” boss mafioso Domenico Papalia, attualmente all’ergastolo, mandante dell’omicidio dell’educatore carcerario Umberto Mormile, un onesto servitore dello Stato che, con la professione e la vita, aveva cercato di realizzare l’articolo 27 della nostra Costituzione. Mi è tornato alla mente l’appello che, pochi giorni fa, suo fratello Stefano ha rivolto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pregandolo di non concedere la grazia a Papalia, che mai ha rivelato nulla sul movente dell’omicidio, né sui suoi contatti in carcere con i Servizi segreti di cui parlano i pentiti, impedendo ad Umberto Mormile e ai suoi cari di ottenere verità e giustizia. Perché, tra i tanti attualmente in carcere, non scegliere veramente un “ultimo”?
Tornando alla lezione di ieri, cosa può significare, dunque, il fatto che i nostri Servizi segreti abbiano scelto quell’immagine de Il buon governo del Lorenzetti? Spiega il professore: “La nostra democrazia preferisce l’iconografia della sicurezza intesa come fondata sulla paura. Il punto è, con ogni evidenza, la necessità di acquisire consenso. E i mezzi scelti per acquisire consenso: la paura. La scelta dell’immagine della sicurezza da parte delle nostre agenzie di sicurezza dovrebbe farci pensare. In una società che si dice democratica questa scelta ci ricorda l’inevitabile tensione tra passato e presente, il rapporto che unisce dimensioni storiche che sarebbe vano tenere distanti”.
In conclusione Montanari paragona le diverse azioni che intrapresero due sindaci di Firenze, Giorgio La Pira e Dario Nardella, per affrontare il problema abitativo dei “poveri”, che minacciava la sicurezza sia di chi non aveva casa sia di chi la aveva. “Per La Pira, come per la Costituzione, il fine è la persona umana e la proprietà privata è un mezzo per costruire un’utilità sociale che promuova e sviluppi la dignità di ogni uomo. La sicurezza per La Pira era la sicurezza sociale e l’ordine pubblico si manteneva facendo giustizia. Per un sindaco di oggi tutto è ribaltato: la tutela della proprietà privata è il fine ultimo, la sicurezza è garantita dalla polizia, l’ordine pubblico dalla sicurezza”.
Le parole con le quali Tomaso Montanari conclude il suo intervento, sofferte quanto lucide, sono un’accusa e, allo stesso tempo, un’invocazione a cambiare rotta: “Il volto terribile della Securitas alata di Siena, sorridente mentre innalza impiccato l’uomo per mantenere la “santa giustizia”, sembra coprire e oscurare ogni altra immagine, ogni altro senso di sicurezza. …Il solo modo di vincere, dunque, è tornare a pronunciare sicurezza come una parola giusta. Una parola di giustizia“.