È rottura tra governo e sindacati sulla manovra, a due giorni dal consiglio dei ministri che dovrebbe licenziarla con un ritardo di otto giorni rispetto a quanto prevedono le regole Ue. Il confronto su pensioni, ammortizzatori sociali e avvio della riforma fiscale, iniziato alle 18:30, è finito tre ore dopo senza alcun accordo e in un clima teso. “Un braccio di ferro“, fanno sapere dalla triplice. Nessuna delle due parti ha ceduto. Il premier Mario Draghi se n’è andato poco dopo le 20 lasciando a Chigi, insieme ai segretari di Cgil e Cisl e Uil, i ministri del Lavoro Andrea Orlando, dell’Economia Daniele Franco e della pa Renato Brunetta. Ma la quadra non si è trovata. E i sindacati smentiscono che – come aveva fatto sapere Chigi – domani sia previsto un supplemento di discussione su “alcuni aspetti specifici”: “Non c’è nessun incontro”, ha detto il segretario Cgil Maurizio Landini. “Non è andata bene. Il governo ha ribadito che giovedì approverà in Cdm la manovra e che questo è il perimetro. Valuteremo cosa deciderà, quello che abbiamo detto è chiaro: se si andrà in una certa direzione bene, se vogliono confrontarsi con noi bene, altrimenti valuteremo unitariamente con Cisl e Uil cosa fare”.
“Sulle pensioni non c’è neanche una scelta: né 102 né 104, c’è solo la scelta di stanziare 600 milioni per la proroga di Opzione Donna e l’Ape sociale”, ha detto il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri. “Né ci sono risposte a chi ha versato per 41 anni i contributi a prescindere dalla età anagrafica non ci sono risposte sulla necessaria riforme complessiva. Il sindacato valuterà nei prossimi giorni forme e strumenti di mobilitazione per fare scelte adeguate”. Landini ha aggiunto che “ci sono alcune risposte parziali e positive sulla riforma degli ammortizzatori sociali ma ci sono 3 miliardi e per noi non sono sufficienti”. Per il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, “nel merito ci sono luci e ombre”, ma le risorse sono “largamente insufficienti” sia per le pensioni che per gli ammortizzatori sociali e per la non autosufficienza.
Il problema è che, mentre rompe con i sindacati, il governo non riesce nemmeno a trovare soluzioni che mettano d’accordo tutte le anime della maggioranza. Una settimana dopo il varo del Documento programmatico di bilancio, i nodi che dividono la Lega da Pd e M5s rimangono irrisolti. Sulle pensioni gli unici punti fermi dovrebbero essere la proroga di Opzione Donna e l’estensione dell’Ape social ad altre categorie di lavoratori gravosi, che vedono concordi quasi tutti i partiti che sostengono Draghi. Su come superare quota 100 evitando il maxi scalone che si creerebbe con un ritorno immediato alla legge Fornero invece non si trova il punto di caduta. Il Documento di bilancio ha messo a disposizione per il prossimo anno solo 600 milioni e nel fine settimana la Cgil ha respinto al mittente la proposta di quota 102 nel 2022 – possibilità di uscita a 64 anni di età e 38 di contributi – seguita poi da quota 104 parlando di una “presa in giro” perché, secondo i calcoli dell’osservatorio Previdenza della Fondazione Di Vittorio e della Cgil Nazionale, potrebbero usufruirne solo 10mila persone circa. La Lega concorda, chiedendo un meccanismo più generoso oppure “quota 41” (in pensione con 41 anni di contributi e un’età minima di 62 anni), che però secondo l’Inps costa troppo.
mentre Enrico Letta ha detto no al sistema delle quote e secondo il Movimento 5 Stelle serve una riforma organica “che esca dallo schema creato intorno alla sommatoria tra anni di lavoro ed età anagrafica e che consideri solo ed esclusivamente i reali versamenti contributivi di ogni lavoratore“, come ha spiegato la sottosegretaria al Lavoro e alle Politiche sociali, Rossella Accoto. “Un piano che metta al centro il sistema contributivo ma che mantenga sempre la possibilità di andare in pensione anche prima dell’età stabilita dalla legge Fornero, che tuteli e aggiorni la platea dei lavori usuranti e che tenga in debito conto i lavoratori discontinui e le donne”.
Nessun accordo nemmeno sul taglio delle tasse: gli 8 miliardi disponibili finiranno in un fondo ad hoc ma solo in un secondo momento, probabilmente durante l’iter parlamentare o in extremis con un decreto successivo, arriverà il dettaglio delle misure. Il Consiglio dei ministri approverà dunque la norma con le risorse, poi si approfondirà il confronto con partiti e parti sociali. Draghi e Franco vorrebbero destinare la quasi totalità delle risorse a tagliare il cuneo fiscale per i lavoratori. Ed è questa anche la posizione del Pd di Letta. Ma il centrodestra e il mondo imprenditoriale chiedono di agire anche lato aziende. Circola l’ipotesi che due terzi vadano ai lavoratori, un terzo alle imprese. Le opzioni in campo sono, secondo il sottosegretario di Leu Maria Cecilia Guerra, “ridurre il peso dell’Irpef sul reddito da lavoro dipendente o intervenire sull’Irap, che grava in particolare su imprese e lavoratori autonomi, o una riduzione dei contributi sociali”, come il contributo al Cuaf (Cassa unica assegni familiari).
Altro nodo, i bonus edilizi. “E’ fondamentale la continuità”, dice Letta, annunciando “battaglia”. Nel pomeriggio Dario Franceschini, che ideò l’incentivo al 90% per le facciate, ha incontrato Franco e il sottosegretario Roberto Garofoli: alla fine nulla è trapelato ma il bonus, che sembrava destinato a saltare, potrebbe rientrare con modifiche, ad esempio una percentuale ridotta al 70%. Quanto al Superbonus, caro al M5s e sostenuto da tutta la maggioranza, dovrebbe arrivare una proroga anche per le villette oltre che per i condomini, ma con un limite di reddito: si ipotizzavano 25mila euro di Isee ma la soglia sarebbe troppo bassa secondo i partiti e si starebbe ragionando sui 40mila euro.