“Colpo di Stato in Sudan. Hanno appena arrestato il primo ministro. Sono al sicuro e tranquillo. Khartoum è isolata. Mancano le comunicazioni. Si aspetta l’evoluzione della giornata”: questo è il messaggio telegrafico postato sui social, lunedì mattina, da Franco Eco, compositore musicale e produttore discografico italiano, giunto nella capitale del Paese africano per partecipare al Sama International Music Festival, uno dei più importanti del continente, organizzato con il supporto di enti culturali di spessore mondiale, tra cui British Council, Goethe Institut, Institut Français, ma anche l’Agenzia spagnola per la cooperazione e l’ambasciata italiana. Eco è in Sudan con il suo spettacolo Dante Concert, un viaggio sulle suggestioni musicali della Divina Commedia. Ora è bloccato in albergo e attende notizie sul suo rimpatrio. Il risveglio, racconta, è stato “traumatico”. “Sono stato svegliato dalla mia agente di viaggio che mi ha comunicato il colpo di Stato in atto”.
La prima reazione?
Ho scritto, subito, un messaggio su Facebook per tranquillizzare amici e parenti. E ho fatto giusto in tempo perché, visto che la notizia non era stata ancora divulgata ai media, poco dopo hanno bloccato le comunicazioni.
Come mai si trovava ancora in Sudan?
Emanuele e Asia, gli attori del mio spettacolo, erano rientrati in Italia domenica sera. Io, curioso di esplorare il deserto e di approfittarne per approfondire una ricerca di etnomusicologia, raccogliendo magari le tradizioni dei beduini, avevo deciso di fermarmi qualche giorno per godermi una breve vacanza.
E invece?
E, invece, lunedì mattina, bloccato in albergo, mi sono ritrovato a suonare con gli altri artisti ospiti del festival, senegalesi, ugandesi, etiopi, francesi, tedeschi, libanesi, tutti insieme per esorcizzare la paura, mentre fuori si sentivano spari e urla.
Che notizie vi giungono?
Per il momento non buone. I comitati di resistenza e le forze democratiche, per giovedì 28, hanno indetto una marcia di protesta (milyunya) per il rilascio del primo ministro Hamdok e di altri funzionari civili. Si prevedono disordini più gravi, credo che ci sarà ancora un po’ da aspettare prima di rientrare in Italia.
L’ambasciata italiana che dice?
Sono costantemente in contatto con loro e con il ministero degli Affari Esteri, non mi hanno mai abbandonato, ma non riescono ancora a darmi certezze sul mio ritorno in Italia. Tra l’altro, nel mio gruppo, sono l’unico italiano, ma ci sono altri europei da rimpatriare. La situazione è in divenire, al momento l’aeroporto è chiuso ed è già una grande cosa che ci hanno riattivato la comunicazione internet, seppur lenta e ad intermittenza.
Per le strade che aria si respira?
L’impressione è che sia scoppiata l’ennesima guerra civile. Le strade sono presidiate, ci sono tanti posti di blocco. In realtà, già prima del colpo di Stato, le strade vicino agli enti governativi erano bloccate. Questo epilogo era prevedibile: circa un mese fa, c’era stato un altro tentativo di golpe fallito, organizzato da comparti dell’esercito fedeli all’ex regime.
Quindi quando è partito per il Sudan sapeva a cosa andava incontro?
Quando sono stato chiamato dall’ambasciata per venire qui in Sudan, conoscevo benissimo i rischi a cui andavo incontro, ma sono partito ugualmente, mosso dal desiderio di diffondere cultura. A confermarmi di aver fatto la scelta giusta sono stati i ragazzi che, sabato e domenica, hanno assistito al mio spettacolo e alla mia masterclass e, pur non conoscendo Dante e la Divina Commedia, sono rimasti ammaliati. Ho visto in loro tanta voglia di confrontarsi culturalmente ed emanciparsi. Avevamo iniziato a intavolare un discorso su diplomazia e cooperazione culturale; è assurdo come, soltanto poche ore, sia precipitato tutto.
Speri di poter riprendere quest’idea di collaborazione?
Certo, sono molto impegnato anche sul fronte della diplomazia culturale, rivestendo il ruolo di ambasciatore del cinema italiano, negli anni passati, sono stato a Kiev, Los Angeles, Manila. Quanto accaduto mi ha dato un’ulteriore conferma della necessità di diffondere cultura in certe parti del mondo. Direi che è il più grande strumento di diplomazia e noi italiani, che abbiamo un grande retaggio culturale, dovremmo imparare ad utilizzarlo ancora di più, soprattutto per aiutare ad emancipare questi popoli.
Dunque tornerai in Sudan?
Non ho dubbi. Anche perché questa non è stata la mia prima volta in Africa: ho ricoperto la carica di consigliere attaché culturel nel corpo diplomatico dell’ambasciata del Benin, in quell’occasione sono stato nella savana. Ora, nella capitale sudanese, credevo di essere al sicuro e invece la vita ci sorprende sempre.
Con la speranza che tu possa tornare al più presto in Italia, cosa porterai con te?
Sicuramente porterò con me l’entusiasmo vivido di questi ragazzi che hanno organizzato e partecipato al Sama Festival. Ora, però, non vedo l’ora di tornare in Italia. Mi sento un ostaggio di questo governo. È come se stessi vivendo una specie di lockdown. Fuori dall’albergo, però, non c’è il virus, ma gli spari.
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Nell’immagine in alto: Franco Eco durante la masterclass, poche ore prima del colpo di Stato.