L'operazione è coordinata dalla procura toscana che indaga sulle bombe del 1993. Nel procedimento sono indagati anche Berlusconi e Dell'Utri dopo la riapertura del fascicolo, nell'ottobre del 2017, in seguito alle intercettazioni in carcere del boss di Brancaccio che evocava l'ex premier come mandante occulto degli attentati. Poi, al processo 'Ndrangheta stragista a Reggio Calabria, il mafioso ha parlato di "imprenditori del nord che non volevano fermare le stragi" e di un investimento da 20 miliardi che sarebbe stato fatto da suo nonno con l'uomo di Arcore. Quindi ha risposto alle domande dei pm fiorentini durante tre lunghi interrogatori
C’è qualcosa di vero in quello che ha raccontato Giuseppe Graviano? Quanto è attendibile il racconto del boss di Brancaccio, uno degli uomini che custodisce i segreti delle stragi del 1992 e 1993? È per cercare di capirlo che la procura di Firenze ha ordinato dieci perquisizioni a Palermo, una a Roma e una a Rovigo. A ricevere la visita degli uomini della Dia sono stati i familiari dei due fratelli Graviano: il fratello, la sorella, le mogli e i figli e altri soggetti vicini alla famiglia. Molte delle persone perquisite sono incensurate, tutte non sono comunque indagate nell’inchiesta della procura di Firenze. Gli agenti della Dia si sono recati anche a casa della vedova di Salvatore Graviano, il cugino di Giuseppe morto alcuni anni fa per una malattia. Secondo quanto raccontato dal boss di Brancaccio, il cugino era custode di una “carta privata” che proverebbe l’investimento da 20 miliardi di lire compiuto negli anni ’70 dal nonno di Graviano, Filippo Quartararo, ed altri finanziatori siciliani negli affari di Silvio Berlusconi a Milano. Le perquisizioni hanno riguardato anche alcuni locali nel quartiere Brancaccio: gli investigatori della Dia hanno portato via alcuni scatoloni dagli appartamenti perquisiti per la ricerca di eventuali riscontri.
L’inchiesta sulle stragi – L’indagine è coordinata dal procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, e dagli aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli ed ha l’obiettivo di accertare l’esistenza di presunti mandanti occulti delle stragi mafiose. L’inchiesta era stata aperta nel 2017, in seguito alle intercettazioni in carcere dello stesso Graviano che sembrava evocare un ipotetico ruolo di Berlusconi. Nel fascicolo, con l’accusa di strage in concorso con Cosa nostra, sono indagati lo stesso ex presidente del consiglio e il suo storico braccio destro, Marcello Dell’Utri. L’ex senatore ha già scontato una condanna per concorso esterno a Cosa nostra mentre recentemente è stato assolto in Appello nel processo sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Graviano, invece, era uno degli esponenti di punta del clan dei corleonesi. Condannato, tra le altre cose, per essere stato il mandante degli omicidi del sacerdote Pino Puglisi, del piccolo Giuseppe Di Matteo e per le bombe di Firenze, Roma e Milano del 1993, il boss di Brancaccio resta un irriducibile: ha negato più volte il suo ruolo nelle stragi e in certi casi anche all’interno di Cosa nostra. Negli ultimi tempi, però, ha messo in campo una strategia per cercare, a un certo punto, di poter uscire dal carcere. Ha cercato più volte di confutare – dal suo punto di vista – le accuse dei pentiti, ormai passate in giudicato da molti anni, segue con attenzione tutto il dibattito sull’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo e ha spiegato più volte di avere pronto “un libro sulla sua vita, forse più di un libro”. È in questo quadro che, nei primi mesi del 2020, il boss delle stragi si è reso protagonista di una serie di dichiarazioni clamorose, tutte da verificare. Racconti messi a verbale anche davanti ai magistrati di Firenze durante tre lunghi interrogatori in carcere avvenuti nel novembre del 2020. I pm avevano deciso di sentirlo dopo lo show tenuto dal mafioso al processo ‘Ndrangheta stragista a Reggio Calabria, concluso con la sua condanna all’ergastolo per gli omicidi dei Carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.
Le dichiarazioni di Graviano – Durante una serie di udienze davanti alla corte d’Assise calabrese, tutte tra il gennaio e il febbraio del 2020, Graviano ha parlato di “imprenditori del nord che non volevano fermare le stragi”, ha sostenuto di aver incontrato Silvio Berlusconi “almeno tre volte” a Milano mentre era latitante, di averlo conosciuto tramite suo nonno, che negli anni ’70 avrebbe finanziato l’uomo di Arcore con venti miliardi di lire. Accuse tutte da dimostrare, che per l’avvocato Niccolò Ghedini erano “palesemente diffamatorie”, anche se non si è fino ad ora avuta notizia di una denuncia da parte del legale dell’ex premier. A sentire “Madre natura”, come lo chiamavano i suoi sodali, il rapporto tra la famiglia Graviano e Berlusconi sarebbe stato tenuto da suo cugino Salvatore, la cui moglie è stata perquisita oggi. “Io casco latitante – ha detto in aula – quindi la situazione la comincia a seguire mio cugino Salvatore”. A un certo punto, però, il mafioso delle stragi avrebbe chiesto al futuro leader di Forza Italia di regolarizzare la situazione relativa agli investimenti del nonno a Milano: “Noi dobbiamo entrare scritti che facciamo parte della società. Noi vogliamo essere partecipi, però questa cosa si andava procrastinando”, ha raccontato Graviano a Reggio Calabria, facendo intendere che la condizione “occulta” dell’investimento doveva essere poi regolarizzata. “I nomi di quei soggetti non apparivano”, ha detto in aula, riferendosi al fatto che i presunti soci occulti dell’imprenditore di Arcore non comparissero nelle partecipazioni societarie. “Ma c’era una carta privata che io ho visto, la copia di mio nonno la ha mio cugino Salvatore Graviano”. Una frase che, più di altre, sembrava essere un vero e proprio messaggio: sulle sue parole il padrino di Brancaccio sosteneva esistessero addirittura le prove. Ed è per questo motivo che sono scattate le perquisizioni della procura di Firenze: i magistrati vogliono vedere se è le gravissime affermazioni di Graviano possano essere in qualche modo riscontrate.