Dopo la rottura di ieri al tavolo sulla manovra i confederali promettono mobilitazioni: attendono il cdm per il varo della manovra, giovedì, per poi valutare come muoversi. L'ex ministra che durante il governo Monti ha firmato l'omonima riforma scrive una lettera aperta al leader della Cgil: "Uscire da quota 100 con una qualche (sempre imperfetta) gradualità e rispettando l'equità che impone di trattare meglio almeno i più sfortunati è possibile. Richiedere un nuovo passo indietro sarebbe ancora una volta una miope scelta di declino"
Sulle pensioni il governo ha deciso di tenere il punto. Nella prima legge di Bilancio post pandemia non cederà ai sindacati, che hanno chiesto un’ennesima riforma complessiva del sistema e rifiutano il meccanismo di uscita graduale da quota 100 per tornare alla legge Fornero. “Ho un altro impegno”, ha detto il premier – stando alle ricostruzioni dei giornali – lasciando poco prima delle 20 di martedì il tavolo sulla manovra con i leader di Cgil, Cisl e Uil. Senza nascondere l’irritazione per una serie di richieste che guardano soprattutto ai pensionandi e poco ai giovani, ai quali il premier Mario Draghi in mattinata, visitando un Its a Bari, aveva promesso: “Con voi prendo un impego: dopo anni in cui l’Italia si è dimenticata di voi, le vostre aspirazioni e attese sono al centro dell’azione di governo”. E oggi, all’incontro con i sindacati internazionali del Labour 20 in vista del G20, ha aggiunto: “Avete un ruolo molto importante da svolgere. La tutela dei più deboli, ovunque essi siano, ci unisce. Insieme, dobbiamo fare in modo che innovazione e produttività vadano di pari passo con equità e coesione sociale. E farlo pensando non solo ai lavoratori di oggi, ma anche a quelli di domani“.
I confederali comunque promettono mobilitazioni: attendono il cdm per il varo della manovra, domani, per poi valutare come muoversi. Non è l’unica grana per il governo: sulle pensioni sono spaccati anche i partiti di maggioranza. “Le pensioni sono per Draghi e per Franco la cartina di tornasole anche nel dialogo rispetto all’Europa”, ha commentato Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al Ministero dell’Economia, intervenendo su Radio anch’io. La Lega insiste su quota 41, cioè 41 anni di contributi da abbinare ai 62 anni di età, col risultato di un quota 103 con criterio di contribuzione che resta sostanzialmente fisso. Questo per il 2022, mentre per il 2023 la richiesta è di una quota 104. Il Pd invece ha incassato la probabile proroga di Opzione donna e Ape sociale. Sul fronte M5s, Luigi Di Maio ha detto che “nessuno vuole tornare alla Fornero, ma neanche a Quota 100. Bisognerà trovare una soluzione di compromesso”. Le divisioni si fanno sentire anche sul fisco: visto che i tempi stringono il governo opterà, salvo sorprese dell’ultimo minuto, per un rinvio al Parlamento delle decisioni su come utilizzare gli 8 miliardi a disposizione per avviare il taglio delle tasse.
Fornero: “Per i giovani lavoro precario e salari discontinui e bassi” – A chiedere al sindacato di avere il coraggio di scelte impopolari che tengano conto della precarietà lavorativa e delle basse retribuzioni di gran parte dei “Millennial” e dei nativi digitali è anche Elsa Fornero. L’ex ministra che durante il governo Monti ha firmato l’omonima riforma funestata dal pasticcio degli esodati e da altri pesanti errori, ma necessaria per rendere sostenibile il sistema, scrive sulla Stampa una lettera aperta a Maurizio Landini. “Uscire da quota 100 con una qualche (sempre imperfetta) gradualità e rispettando l’equità che impone di trattare meglio almeno i più sfortunati è possibile. Richiedere un nuovo passo indietro sarebbe ancora una volta una miope scelta di declino“, è il cuore della missiva. “I nati intorno alla metà del secolo scorso hanno contribuito, con il loro lavoro e i loro sacrifici, a una crescita economica sostenuta, ottenendone un rapido miglioramento della propria condizione di vita“, ricorda la Fornero, “poi la tendenza si è indebolita e oggi risulta addirittura invertita per le generazioni più giovani, spesso costrette a cercare altrove le opportunità che non trovano in patria. Tra il 2008 e il 2020, all’incirca un giovane (25-34 anni) su sedici è ufficialmente emigrato, e non possiamo stupircene: in Italia è maggiore la precarietà del lavoro e quindi le retribuzioni sono discontinue e piuttosto basse mentre l’incidenza della povertà (specie nelle famiglie con bambini) è più elevata che nelle altre classi di età; è quindi difficile formarsi una famiglia, fare piani per avere figli e acquistare una casa. Tutti i dati mostrano, in sintesi, divari crescenti tra le generazioni ma a questo quadro devastante la politica sembra solo marginalmente interessata: i giovani sono una minoranza e per giunta votano meno dei loro genitori e nonni”.
E questo forse spiega perché sono stati loro a pagare di più la mancanza di investimenti, la globalizzazione che “ha spostato la produzione in aree un tempo assenti dalle catene internazionali del valore”, “la crisi finanziaria“, “la Grande Recessione“, “la pandemia”. “La ritengo persona credibile, coraggiosa, capace di assumersi responsabilità e anche di mobilitare la sua organizzazione per sostenere una strategia di contrasto al declino, incentrata sul lavoro, di giovani, donne e anche lavoratori magari anziani ma ancora in grado, per buona salute, di contribuire al benessere collettivo (oltre che all’aumento della propria pensione) . Mi dirà: che cos’ ha a che fare tutto questo con l’uscita da quota 100 e con la ripresa di un percorso di innalzamento dell’età pensionabile? Rispondo che è impossibile non vedervi il venir meno di un patto economico tra le generazioni che proprio nel sistema previdenziale trova una delle sue maggiori manifestazioni. Non sarebbe responsabile, ora, effettuare nuovamente scelte in tale materia senza tener conto di questa sconfortante situazione”.
“Errore ridurre il welfare al solo sistema pensionistico” – Fino ad oggi “è stato un errore l’avere ridotto il sistema di welfare quasi solo al sistema pensionistico. Analogamente, è stato improprio usare il pensionamento anticipato delle donne in sostituzione dei servizi di cura, così condannandole alla povertà se non assistite della ‘generosità’ del marito o da una pensione di reversibilità; o di strumenti di politica industriale per ristrutturare le imprese, soprattutto grandi. Uno sguardo retrospettivo mostra misure che spaziano dalla vera e propria dissennatezza (le baby pensioni) alla miopia (le misure indotte dalla difesa dei ‘diritti acquisiti’ nelle loro numerose varianti), al cedimento a pressioni e influenze di categorie più vicine al sistema politico (con conseguenti privilegi). Il Paese nel suo insieme ha trovato tutte queste decisioni convenienti nel breve periodo, senza riflettere sull’invecchiamento della popolazione; sulla mancata crescita e sul conseguente impoverimento complessivo”. In questo quadro “Le riforme hanno cercato di contrastare questo circolo vizioso; sono state lente, imperfette (ma tutte le riforme lo sono), soggette a passi all’indietro e a una comunicazione che ha favorito il risentimento anziché la comprensione e la condivisione. E’ su questo che le chiedo di riflettere, come segretario della principale organizzazione sindacale del nostro Paese, che in un passato non vicinissimo ha saputo resistere alla tentazione di una popolarità superficiale e fare scelte apparentemente impopolari (come Luciano Lama con l’accordo sulla «scala mobile» nel 1975)”.