Imputato per corruzione nel processo per lo scandalo Mose, condannato a 4 anni e poi prescritto. Nonostante il colpo di spugna dovuto al trascorrere del tempo abbia salvato da conseguenze penali l’imprenditore romano Erasmo Cinque, la Guardia di Finanza non lo ha mollato e ha eseguito una confisca di beni per 9 milioni di euro. Cinque era finito a processo a Venezia assieme all’ex ministro Altero Matteoli, deceduto nel 2017 in un incidente automobilistico, e così la posizione di quest’ultimo era uscita dalla scena processuale.
Il provvedimento di confisca è stato eseguito da militari del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Venezia, in collaborazione con i colleghi del Comando Provinciale di Roma. È stata la Procura Generale presso la Corte d’Appello di Venezia a disporre la misura, che riguarda beni immobili e disponibilità finanziarie dell’imprenditore romano. Cinque era stato coinvolto non tanto per le tangenti pagate in relazione alla costruzione del Mose, il sistema di dighe mobili che dovrebbero salvare Venezia dalle acque alte. La sua posizione riguardava i lavori di bonifica a Porto Marghera, che con le sue entrature politiche – secondo la Corte d’Appello – si era procurato pagando tangenti.
Nel luglio 2019 la Corte d’Appello di Venezia, dichiarando il non luogo a procedere nei confronti di Matteoli per morte dell’imputato, aveva confermato la condanna a 4 anni di reclusione per Cinque. Successivamente la Corte di Cassazione ha dichiarato la prescrizione del reato, confermando – informa una nota della Guardia di Finanza – “la confisca di quanto ricevuto quale prezzo delle condotte corruttive commesse in concorso con un politico, nel frattempo deceduto”.
La contestazione riguardava non solo la bonifica dei canali, ma anche “la nomina, quale Magistrato alle acque di Venezia, di un presidente asservito al Consorzio Venezia Nuova”. In cambio della decisione politica, “detti lavori furono affidati dal Consorzio Venezia Nuova ad una Associazione temporanea di imprese costituita tra una società riconducibile all’imprenditore e altra importante impresa aderente al consorzio”. L’impresa di Cinque, pur non avendo eseguito materialmente le opere, aveva “partecipato agli utili derivanti dalle commesse, quantificati, in sede giudiziaria, in 18 milioni di euro e ascritti, in parti uguali, ai due indagati (l’imprenditore e il politico)”. Per questo la confisca dei beni di Cinque è pari a 9 milioni di euro, mentre la morte di Matteoli ha comportato la revoca delle statuizioni civili che lo riguardavano.
Il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria ha ricostruito con indagini complesse le proprietà di Cinque, analizzando le sue attività economiche nell’arco di trent’anni e valorizzando anche alcune segnalazioni antiriciclaggio. Il suo patrimonio immobiliare è composto da 16 unità immobiliari a Roma (anche una villa ad Anzio e un’altra a Fregene) del valore complessivo di oltre 8 milioni di euro, formalmente intestate ad una società di diritto lussemburghese. I finanzieri veneziani hanno scoperto che il titolare effettivo di questa società estera è proprio l’imprenditore romano. Una villa, a Roma ospita (con contratto d’affitto) la rappresentanza diplomatica della Spagna. Confiscati anche depositi bancari intestati a Cinque e alla società lussemburghese, oltre a mobili pregiati per un valore di 220mila euro che si trovano nell’abitazione di Cinque.