Citano tutti il caso della sindaca di Crema, Stefania Bonaldi, indagata per abuso d’ufficio perché un bambino si era fatto male all’asilo. Ma nessuno ricorda il caso del sindaco di Busto Arsizio, Emanuele Antonelli, appena rieletto al primo turno: secondo le indagini ha volutamente tentato di ostacolare l’apertura di un supermercato della Coop, ma l’inchiesta nei suoi confronti è stata archiviata. Il non luogo a procedere è stato ordinato anche per i tre professori universitari di Pescara accusati di aver favorito un tale candidato per un concorso da ricercatore. Sentenze simili sono state emanate anche a Macerata e Foggia. Sono i primi effetti dell’ultima modifica normativa dell’abuso d’ufficio, quella varata nell’estate del 2020 dal governo di Giuseppe Conte. Una riforma che nei fatti restringe le maglie della configurabilità del reato. Ma alla politica quella modifica non è bastata. E infatti in Parlamento è partito l’iter per un intervento che ha tutti i crismi della massima trasversalità. Nei giorni scorsi le commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato hanno infatti avviato l’iter di tre proposte di legge, presentate rispettivamente dalla Lega, dal Pd e dal Movimento 5 stelle. Segno che evidentemente l’ampia maggioranza che sostiene il governo di Mario Draghi intende seriamente intervenire sulla questione e ridurre ulteriormente il perimetro di contestazione del reato disciplinato dall’articolo 323 del codice penale.
Le parole di Draghi e le proposte di Lega, Pd e M5s – D’altra parte l’argomento aveva trovato il commento dello stesso presidente del consiglio. “È necessario sempre trovare un punto di equilibrio tra fiducia e responsabilità: una ricerca non semplice, ma necessaria. Occorre, infatti, evitare gli effetti paralizzanti della ‘fuga dalla firma‘, ma anche regimi di irresponsabilità a fronte degli illeciti più gravi per l’erario”, aveva detto Draghi all’inaugurazione dell’anno giudiziario della corte dei Conti, il 19 febbraio scorso: era il suo primo intervento pubblico, dopo aver ottenuto la fiducia in Parlamento. Un discorso che lasciava intendere come l’esecutivo volesse intervenire di nuovo sul tema, dopo le modifiche introdotte dal precedente governo. Quel giorno, infatti, Draghi ha ricordato che “il decreto semplificazioni ha introdotto novità, ma probabilmente non sono sufficienti o comunque richiedono un ‘fine tuning‘ ora che arriveranno le ingenti risorse del Recovery fund“. In una frase dunque il premier aveva annunciato “ritocchi” sull’abuso d’ufficio e aveva citato appunto l’ultima modifica legislativa, quella varata dal decreto Semplificazioni nel luglio del 2020 dal governo Conte. Otto mesi dopo quelle parole, ecco che il Parlamento comincia a discutere le proposte di legge del leghista Andrea Ostellari, di Dario Parrini del Pd e di Vincenzo Santangelo del M5s. Il testo dell’esponente del Carroccio, presidente della commissione Giustizia del Senato, prevede di sottrarre al controllo del giudice penale quasi tutti gli atti dei sindaci, ad esclusione di quelli che violino gli obblighi di astensione (come quando si tratta di interessi del medesimo amministratore o di familiari). La legge, tra l’altro, non si applica solo ai sindaci ma a tutti i funzionari pubblici, che dunque saranno controllati solo dalla giustizia amminsitrativa, cioè dal Tar e dal Consiglio di Stato. La proposta del dem Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali, inserisce invece un comma all’articolo che disciplina l’abuso d’ufficio: la fattispecie “si deve intendere riferita a norme relative a competenze espressamente attribuite ai sindaci”. Vuol dire che il reato si applica solo quando vengono violate le competenze assegnate al sindaco. La responsabilità per omissione – cioè quando non è compiuto un atto – si applica solo se viene provato il dolo o la colpa grave. Se fosse stata già in vigore la riforma Parrini la sindaca di Crema non sarebbe finita sotto inchiesta. Il ddl firmato dal 5 stelle Santangelo, invece, prevede che il primo cittadino sia imputabile solo in caso di “dolo o colpa grave per violazione dei doveri d’ufficio“.
Le modifiche varate dal governo Conte – Se approvate, dunque, le tre proposte di legge modificherebbero ulteriormente le ipotesi di applicazione del reato di abuso. Che, come detto, avevano già subito un rimpicciolimento col decreto Semplicificazioni dell’estate 2020. Quella modifica attribuiva “rilevanza alla violazione da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, nello svolgimento delle pubbliche funzioni, di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”. Nella formulazione precedente, infatti, l’abuso d’ufficio puniva la generica violazione di leggi e regolamenti. La modifica, dunque, teneva fuori i regolamenti e in più attribuiva “rilevanza alla circostanza che da tali specifiche regole non residuino margini di discrezionalità per il soggetto, in luogo della vigente previsione che fa generico riferimento alla violazione di norme di legge o di regolamento”. Spiegato in parole povere vuol dire che nei casi in cui si prevede potere discrezionale del pubblico amministratore, quest’ultimo potrà beneficiarne senza correre il rischio di finire sotto inchiesta per abuso d’ufficio. In più i possibili abusi si potranno configurare solo in caso di violazioni di leggi dello Stato e non anche tutte le varie norme minori. In previsione dell’arrivo dei fondi del Recovery il precedente esecutivo, evidentemente, tendeva a eliminare “gli effetti paralizzanti della fuga dalla firma“, per utilizzare le parole con cui Draghi ha definito i amministratori che evitano di prendersi determinate responsabilità per evitare di finire sotto inchiesta. E in questo modo rallentano gli iter burocratici pubblici.
Il caso del sindaco di Busto e la coop – Quella modifica dell’abuso d’ufficio, però, non ha trovato particolare riscontro da parte della magistratura. Giorgio Fidelbo, presidente di Sezione della Corte di Cassazione, l’ha definita “un arretramento nel contrasto alla illegalità amministrativa” e ha sostenuto che eliminare del tutto l’abuso “potrebbe essere più coerente”. “Si racconta la favola della sindrome della firma: i funzionari pubblici il terrore di firmare per non rischiare una incriminazione per abuso d’ufficio e ciò paralizzerebbe l’attività politica e quella della pubblica amministrazione. Faccio fatica a comprendere come si può avere paura di un simile reato se si sono tenuti comportamenti corretti”, ha scritto sul Fatto Quotidiano l’ex magistrato Piercamillo Davigo. Posizioni che trovano fondamento nelle prime sentenze arrivate sul caso. Accusato di abuso d’ufficio era infatti il sindaco di Busto Arsizio, Emanuele Antonelli. Nell’aprile scorso, come aveva raccontato Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, la procura di Milano ha chiesto l’archiviazione per il primo cittadino accusato di aver cercato di ostruire l’apertura di un supermercato della Coop. Secondo la Guardia di Finanza, il sindaco ha ostacolato volutamente la realizzazione una rotonda prevista invece dalle tavole della convenzione in comune per l’apertura del punto vendita. Di quella vicenda si lamenta anche in un’intercettazione, agli atti dell’inchiesta sulla Mensa dei poveri, con Nino Caianiello, l’ex ras di Forza Italia in provincia di Varese: “Magari riuscissi” a non fare la rotonda, dice Antonelli, aggiungendo che “più di così non si può fare niente, se no mi denunciano, li ho già tirati fino a Natale. Devo cercare di fargli fare i lavori a agosto, così li faccio impazzire…perché vuol dire un altro anno…”. Agli atti dell’inchiesta c’è pure la testimonianza di un consigliere comunale, che ha confermato: “Il sindaco non voleva che la rotonda si realizzasse e chiese di trovare un cavillo per rallentare la realizzazione”. Per la pm Martina Melita, però, la modifica del decreto Semplificazioni “ha operato una parziale abolitio criminis” sotto forma di “interpretazione autentica della norma incriminatrice”. Per la Guardia di Finanza e la procura, infatti, è “confermata la condotta del sindaco di ostacolare o quantomeno rallentare la realizzazione del supermercato Coop”, ma con questa sua attività “non si può dire” che abbia “violato specifiche norme di legge o aventi forza di legge”. Secondo la pm Antonelli ha “violato il principio di imparzialità nell’agire amministrativo di cui all’articolo 97 della Costituzione”: questa condotta, però, “non è più prevista come reato”. Nel giugno scorso il gip Stefano Colombo le ha dato ragione e ha archiviato il fascicolo su Antonelli.
Una vicenda paragonabile a quella accertata dal gup di Pescara nel novembre scorso e riportata dal quotidiano Il Centro. Il giudice Nicola Colantonio ha deciso il non luogo a procedere per tre professori universitari accusati di “aver procurato intenzionalmente” a un determinato candidato “un vantaggio patrimoniale ingiusto consistito nella designazione per l’incarico di ricercatore di Statistica nel dipartimento di Economia aziendale”. I tre erano stati denunciati da una candidata esclusa che si considerava danneggiata dalla valutazione fatta dalla commissione. Secondo le accuse i tre docenti avevano valutato come importanti per la designazione finale del concorso alcuni titoli non erano previsti dal bando. Il Tar aveva dato ragione alla candidata esclusa accertando “l’illegittimità dell’operato della commissione sotto forma di eccesso di potere per arbitrarietà, violazione del criterio di proporzionalità e sviamento”. E in sede penale la procura aveva chiesto il rinvio a giudizio. Il giudice, però, aveva spiegato che “l’inosservanza delle regole contenute nel bando di concorso non può avere rilievo per la configurabilità del reato all’articolo 323 del codice penale atteso che trattasi di violazione di un mero atto amministrativo”. Le norme che disciplinano un concorso non sono “atti avente forza legge“: e dunque l’abuso d’ufficio non è più configurabile. E dire che dopo l’annullamento del Tar, una nuova commissione esaminatrice aveva individuato come vincitrice della selezione proprio la candidata che aveva denunciato i tre professori. Sentenze simili, come ha ricostruito Repubblica, sono state emanate per concorsi dell’Università di Macerata e di Foggia. Sono i primi effetti del ridimensionamento dell’abuso d’ufficio. Un reato che a breve potrebbe diventare ancora più difficile da contestare: è in questo modo che il governo intende esorcizzare gli effetti paralizzanti della “fuga dalla firma”.