Calcio

Real, ma Sociedad: la rivoluzione copernicana della Liga passa da San Sebastian e Siviglia. E a Madrid c’è un sogno chiamato Rayo

La rovinosa caduta del Barcellona, il mercato al risparmio delle merengues, l'Atletico di Simeone che non ingrana: la caduta degli dei tiene aperto il campionato spagnolo dopo 17 anni di dominio delle tre big. Nei Paesi Baschi il divertimento è assicurato e la vetta meritata, mentre l'Andalusia ribolle di entusiasmo per il derby cittadino mai così in alto in classifica. E mentre i ricchi piangono, nella capitale c'è un quartiere che non vuole essere svegliato

L’equilibrio è diventato labile, il futuro si è emancipato dal passato. Perché l’ancien régime che tiranneggia la Liga da ormai 17 anni potrebbe essere sovvertito. Stavolta per davvero. Le gerarchie sono rovesciate, il popolo non si accontenta più di mangiare le brioche. Dietro l’ombra dei tre giganti c’è vita. E forse anche troppa. La classifica fotografa una situazione particolarmente affollata: sette squadre in appena quattro punti. Con le “piccole” che vanno a braccetto con le grandi. E che, anzi, le superano. È la rivincita di chi per anni si è trovato nel mezzo. Troppo grande per eclissarsi, troppo piccolo per poter competere contro Barcellona e Madrid. Le altre città esiliate nello status quo, gli altri club costretti a trascinarsi sotto un cielo fatto di sole nuvole. Un anno dopo l’altro. Una stagione dopo l’altra. Almeno fino a quando la pandemia non ha scatenato una tempesta. Le tavole imbandite dei ricchi sono diventate sempre più scarne, i colpi di mercato milionari questione di ricordi. Per la prima volta il Real non ha pensato a comprare, ma a vendere. Il Barcellona si è dovuto addirittura disfare dei suoi gioielli. Un decadimento dell’aristocrazia che apre spiragli a chi spinge da dietro. I re sono nudi. E ora nessuno ha più paura di urlarlo.

Real Sociedad. 24 punti, 11 partite giocate. Valore rosa: 384 milioni (1.9 volte in meno di quella del Real Madrid)
Per molti è la squadra più divertente della Liga. Ora però sogna di diventare anche un club vincente. Un progetto che era riuscito già ad aprile, quando i baschi avevano vinto la Coppa del Re nel derby contro l’Athletic Bilbao (si trattava però dell’ultima partita del 2020, rinviata di comune accordo fra i due club), interrompendo una maledizione che andava avanti da 34 anni. Sull’impianto di quella squadra la società ha lavorato molto nel corso della scorsa estate. Ma senza acquisti particolarmente onerosi. Anzi, le spese sono state praticamente inesistenti. Il club ha preso in prestito Alexander Sörloth dal Lipsia (500mila euro) e ha acquistato Diego Rico dal Bournemouth per 2 milioni. Poi basta. Al resto ci ha pensato Imanol Alguacil, uno che incarna piuttosto bene il senso di appartenenza alla Real Sociedad. E non solo perché dopo la vittoria della coppa si è presentato in sala stampa e, dopo aver indossato maglietta e sciarpa del club, ha iniziato a intonare cori fino alla raucedine. Il mister è stato capace di disegnare una squadra fluida, in grado di passare dal 4-2-3-1 al 4-1-4-1, fino al 5-3-2 con difesa molto bassa visto contro l’Atletico Madrid. Sempre però mantenendo la stessa idea: squadra corta e tanta verticalità. Giovedì scorso, nella gara in casa del Celta, la Real ha costruito molto. Ma ha concesso tantissimo agli avversari. Il portiere, l’australiano Mat Ryan, si è rivelato fondamentale in almeno sei occasioni. “È vero il nostro portiere ci ha dato una grande mano – ha ammesso il tecnico. Ma d’altra parte è lì per quello”. La partita contro il Celta, però, rischia di creare un’idea distorta del reale valore dei baschi. La Real è una squadra ricca di talento. David Silva e Adnan Januzaj, talento del Manchester United che sembrava essersi smarrito, garantiscono tecnica e visione di gioco. Fin qui hanno messo i compagni in posizione di tiro almeno una volta a partita, mentre hanno confezionato un assist a testa. La vera perla della squadra, però, è Mikel Oyarzabal. Il capitano ha fatto registrare numeri fuori da ogni logica: 6 gol e un assist in 8 partite, oltre a una media di 1.9 passaggi chiave a match. Nelle ultime 3 partite è rimasto fuori per qualche guaio fisico, ma anche senza di lui la squadra ha dimostrato di cavarsela piuttosto bene. In avanti, però, c’è un altro nome destinato a entrare nella testa dei fan. È quello di Alexander Isak, attaccante svedese di 22 anni, che incarna piuttosto bene il ruolo di punta moderna. Rapido e longilineo, ha un buon dribbling (viaggia una media di 1.1 a partita) e anche per questo non ama stazionare in area di rigore ma riesce a essere letale quando può attaccare la profondità. Finora ha segnato due gol, ma il suo talento sembra sul punto di strabordare. “Amo la filosofia e questo mi aiuta molto – ha dichiarato Isak in un’intervista a France Football – leggo molto e amo soprattutto lo stoicismo. È basato sull’autocontrollo e sull’abilità di trovare armonia controllando sentimenti forti come la gelosia, desiderio e rabbia”. L’ultimo titolo nazionale vinto dalla Real Sociedad risale al 1982. E forse anche questo digiuno è pronto per essere interrotto.

Betis Siviglia. 21 punti, 11 partite giocate. Valore rosa 220 milioni (3,43 volte in meno di quella del Real Madrid)
Tutto sembrava compromesso. Dopo appena tre partite. Prima il pareggio contro il Maiorca. Poi l’1-1 casalingo con il Cadice. Infine la sconfitta contro il Real Madrid. Un inno alla mediocrità che sarebbe durato per tutta la stagione. Gli imputati erano tanti. A cominciare dall’allenatore Manuel Pellegrini, uno che sembrava per forza dover diventare un nuovo Calimero, un Hector Cuper con una manciata di trofei in più. Invece la stagione del tecnico cileno è cambiata a Granada. La squadra domina, spreca, segna, si fa raggiungere. Poi al minuto ottantanove Sergio Canales riceva palla quasi sulla linea di centrocampo. Ha le spalle alla porta avversaria e un difensore in maglia biancorossa che si strofina contro di lui. Il numero 10 si stacca dalla marcatura e si invola verso la porta avversaria. Poi, dopo aver saltato tre uomini, conclude di sinistro a incrociare. È un gol sublime. Tanto che qualche tifosi del Betis si premura di montare su quelle immagini la telecronaca del gol di Maradona all’Inghilterra. Da quel momento inizia un nuovo campionato. Stavolta da sogno. I biancoverdi non avevano mai messo insieme 21 punti in 11 partite. È un record che racconta molto di una squadra molto pratica, capace di diventare devastante quando trova campo davanti a sé. Questo Betis è costruito su una manciata di canterani “minori” del Barcellona: Montoya, Bartra, Tello, Alex Moreno, Juan Miranda. Tutti comparse da altre parti, tutti protagonisti in Andalusia. Il totem intorno a cui ballare è l’eterno Joaquin, 40 anni, un minutaggio da comprimario (99 minuti in 7 presenze, tutte da subentrante), ma un ruolo universalmente riconosciuto da leader dello spogliatoio. La stella cometa di Pellegrini è ancora il 4-2-3-1, che però viene accompagnato da un turnover estremo. Si alternano tutti. Anche il portiere – feticcio Claudio Bravo, che a 38 anni si ritrova così a essere contemporaneamente titolare e riserva. Ma senza abdicare mai ai principi del suo gioco: fin qui infatti il portiere cileno ha messo 2 volte i compagni davanti al portiere avversario. L’unico escluso dalle rotazioni è Nabil Fekir. Il francese ex Lione le ha giocate tutte. E i numeri raccontano anche perché: in 11 partite ha segnato un gol e servito due assist. Ma ha anche messo a referto una media di 3 passaggi chiave match e di 2.6 dribbling riusciti. La sua capacità di galleggiare fra le linee lo rende fondamentale sia nel rifinire, sia nello rotolamento della transizione offensiva. Eroe recente, invece, è Borja Iglesias, l’attaccante soprannominato Panda che negli ultimi 10 giorni ha segnato 4 reti (di cui una in Europa League). Un sospiro di sollievo, visto che ultimamente dell’attaccante si era parlato soprattutto per motivi che poco hanno a che fare col campo. Un anno fa il Panda si era tinto le unghie di nero in segno di solidarietà al movimento Black Lives Matter. Ed aveva ricevuto in cambio una valanga di insulti. Qualche mese fa aveva fatto discutere una sua intervista sul calcio e la politica. “Credo che il calciatore tenda a votare a destra, anche se non verso l’estrema destra. Il motivo economico vuol dire tanto: se ti dicono che invece che il 50% devi pagare il 30% di tasse, uno pensa che è fantastico. Per me non è così. Io preferisco pagare di più e vivere in un Paese che spende quei soldi in più in un modo che mi piace”. Il saldo del calciomercato è stato positivo. La cessione di Emerson Royal al Barcellona (14 milioni) ha finanziato l’acquisto di German Pezzella (3.5 milioni dalla Fiorentina) e i prestiti di Héctor Bellérin, di William José (capocannoniere con 5 reti, fra cui uno splendido pallonetto contro l’Osasuna) e Rui Silva. Ora il tempo dirà dove possono arrivare i biancoverdi.

Siviglia. 21 punti, 10 partite giocate. Valore rosa 415 milioni (1.8 volte in meno rispetto a quella del Real)
Julen Lopetegui è la dimostrazione che tutto può cambiare in una frazione di secondo. La sua storia è stata stravolta il 13 giugno del 2018. A due giorni dal debutto della Spagna al Mondiale era venuto fuori che dopo il torneo il tecnico avrebbe allenato il Real Madrid. Ma perché aspettare? La Federcalcio spagnola ha deciso di esonerarlo subito e affidare la panchina a Hierro. Un disastro personale che è diventato disastro collettivo. Da quel giorno Lopetegui vive per cancellare quella macchia. Il primo passo è stato portare il Siviglia alla conquista dell’Europa League 2020. Un risultato che in Andalusia è considerato quasi prassi, visto l’accumulo seriale del secondo trofeo continentale avvenuto negli ultimi anni. Ora la crisi del Barcellona ha aperto spiragli a una piccola impresa. Non è un caso che Luis García Plaza, professione allenatore del Maiorca, abbia detto: “Il Siviglia è l’alternativa al potere”. I biancorossi hanno perso solo una volta in questa stagione (contro il Granada), ma hanno lanciato segnali contraddittori. Marca ha definito il primo Siviglia di Lopetegui come una squadra “timorata y especulativa”, ma poi ha apprezzato la mutazione verso un calcio più all’attacco, fatto di terzini alti, di profondità e di velocità d’esecuzione. Qualche settimana fa qualcuno aveva interrogato il tecnico sulla possibilità di giocare il Mondiale ogni due anni. E il mister aveva risposto con un aforisma: “Il calcio è così grande che sopravviverà a tutto questo. I calciatori hanno due gambe, due polmoni e già sono al limite. I calciatori sono l’elemento più importante. Se non ci prendiamo cura della gallina non avremo più uova”. Una preoccupazione legata anche allo stato della sua rosa, lunga ma non certo sterminata. Molti dei giocatori arrivati in estate sembrano essersi inseriti bene. Tutto è girato ancora una volta intorno alla figura di Monchi, il ds accolto a Roma come una rockstar ma che, come scritto da Marco Gaetani in un pezzo su Quattrotretre, dopo aver clamorosamente fallito nella capitale è tornato a Siviglia come un uomo che superato il divorzio torna a casa dei genitori e ritrova la sua cameretta così come l’aveva lasciata. Il ds ha speso una quarantina di milioni sul mercato per regalare al 4-3-3 di Lopetegui il terzino Ludwig Augustinsson, il mediano Thomas Delaney e l’esterno destro Gonzalo Montiel. Le due grandi scommesse sono state Erik Lamela (preso a zero) e Rafa Mir, acquistato per 16 milioni dal Wolverhampton e autore finora di 4 reti. L’argentino è partito bene, con due gol all’esordio. Ma è anche protagonista di una statistica curiosa: è il più presente, con 10 gettoni, ma è partito titolare soltanto 3 volte, finendo al decimo posto per minuti accumulati. “Mi sento nel pieno della mia maturità calcistica”, ha detto Lamela. Intanto però Lopetegui è riuscito a recuperare anche Munir, tornato a giocare dopo 6 mesi trascorsi fuori dai radar del mister. Mentre la squadra si corre sul campo, la società ha vissuto qualche momento particolarmente agitato. José María del Nido, ex presidente del club e ultras della Super Lega, ha provato a tornare in sella al club, spodestando José Castro. Teatro dello scontro è stato un’assemblea dei soci molto agitata, al termine della quale Del Nido ha affermato di non aver potuto votare perché gli era stato dato un telecomando con le pile scariche. Ora Lopetegui deve tenere al sicuro il gruppo e continuare a tirare per la sua strada.

Rayo Vallecano. 19 punti, 11 partite giocate. Valore della rosa 53 milioni (ossia 14.2 volte in meno rispetto al Real Madrid)
In attesa di poter scrivere la propria storia, il Rayo si è accontentato di indirizzare quella altrui. L’1-0 con cui mercoledì scorso ha battuto il Barcellona è qualcosa di molto vicino a un risultato epocale. Il giorno seguente El Pais ha titolato: “Il Barça tocca il fondo”. Poi è arrivato l’esonero di Ronald Koeman, pizzicato dalle telecamere mentre diceva: “È tutto negativo, non va bene niente”. Dopo più di un quarto di campionato il Rayo si è già candidato al ruolo di grande sorpresa del torneo. Tutto ruota intorno all’allenatore dei biancorossi. Andoni Iraola ha 39 anni e si ispira direttamente al calcio di Valverde. Punto di partenza è un 4-4-2 capace di trasformarsi in un 4-2-3-1, e che offre grande compattezza. “Dico che usiamo un 4-4-2 con un sei, un otto, un dieci e un nove nel mezzo, sfalsati a diversi livelli”, ha raccontato al Pais. E ancora: “Ho voluto costruire un Rayo capace di vincere in qualsiasi scenario. Voglio che le partite abbiano sempre due direzioni: anche se a volte ti senti dominato, gli altri si devono sempre preoccupare di noi. Sento che lo spirito di squadra sta andando in questa direzione. Tutti i nostri giocatori amano attaccare. Hanno il coraggio di dire: “Eccomi””. Un discorso che solo qualche settimana fa sarebbe suonato fuori luogo. Perché l’inizio di campionato è stato qualcosa di molto vicino a un incubo. Due sconfitte in altrettante partite. E la salvezza era diventata improvvisamente più un’utopia che un sogno. Da allora sono arrivate 6 vittorie, 2 sconfitte e un pareggio. Ed è partita la scalata alla classifica. Complice anche il rendimento di Radamel Falcao. A 35 anni il colombiano sembrava il classico giocatore sul viale del tramonto. Invece il suo impatto sui fulmini è stato notevole. Finora la punta che gioca con il numero 3 ha segnato 4 reti, compresa quella contro il Barcellona, dove ha fatto fare una figuraccia a Piqué. Ma il dato impressionante è la frequenza delle reti. Falcao ha giocato 4 partite da titolare e altrettante da riserva, per un totale di appena 249 minuti. Vuol dire che con la maglia biancorossa va in gol in media una volta ogni ora di gioco. Altro uomo fondamentale è Óscar Trejo. Il trentatreenne argentino gioca praticamente alle spalle di Falcao. E il suo compito è di inventare calcio. Finora ha già messo a referto 6 assist e portando a casa il titolo di uomo partita contro il Barça. Esattamente opposta, invece, la parabola di Luca Zidane. Il portiere ha iniziato la stagione come titolare. Ma è durato appena 16 minuti. Contro il Siviglia si è fatto espellere. E dopo non ha più visto il campo. Il suo posto è stato preso da Stole Dimitrievski, portiere della Macedonia del Nord. Una partenza da sogno rovinata da un piccolo particolare. La squadra femminile, infatti, ha annunciato l’intenzione di denunciare il Rayo Vallecano per non aver iscritto le calciatrici alla “Previdenza Sociale all’inizio della stagione” e “per aver violato la legge sulla parità”. Ma questa è un’altra storia.