Per la Corte costituzionale, la legge regionale impone ai “Comuni lombardi una disciplina che genera un aumento non compensato della pressione insediativa, che per certi aspetti potrebbe risultare poco coerente con le finalità perseguite dalla stessa legge regionale” in vista dell'obiettivo di “minimizzazione del consumo di suolo”
La legge regionale della Lombardia sulla rigenerazione urbana è incostituzionale. Lo ha deciso la Consulta con sentenza depositata il 28 ottobre 2021 firmata dal giudice Giancarlo Coraggio. Nel mirino della Corte Costituzionale la parte della norma approvata a novembre 2019 che concede bonus volumetrici fino al 25% a chi recupera palazzi abbandonati o degradati da oltre 5 anni. È stato il Comune di Milano, per iniziativa dell’ex assessore all’Urbanistica (oggi alla Casa) Pierfrancesco Maran, a sollevare i dubbi di incostituzionalità, prima davanti al Tar Lombardia e poi ai massimi giudici, in uno scontro in punto di diritto con la giunta di Attilio Fontana. Maran era fautore di un “suo” piano – opposto – con una disciplina comunale che prevedeva 18 mesi di tempo alle grandi proprietà per la presentazione di un piano di recupero degli immobili, pena la decurtazione degli indici edificatori.
Nello scontro Comune-Regione si sono inserite le grandi: solo a Milano in 37 hanno provato a usufruire dei benifici volumetrici e fiscali della legge lombarda, fra le quali spiccano nomi noti del real estate meneghino: da Coima di Manfredi Catella per rigenerare l’ex “Pirellino” con un progetto firmato da Stefano Boeri e Elizabeth Diller, passando per i costruttori di Borio Mangiarotti, la Antirion sgr di Ofer Arbib fino alla Cassa previdenziale dei medici, l’Enpam, che nel frattempo ha venduto un pezzo importante del suo patrimonio al Fondo Apollo per 900 milioni di euro.
Ora i giudici costituzionali hanno stabilito che la normativa lombarda comprime la libertà e l’autonomia dei Comuni nel pianificare lo sviluppo del proprio territorio; discrimina fra gli stessi in base alla popolazione, perché nei paesi e nelle città con oltre 20mila abitanti non sarebbe stata possibile alcuna “riserva di tutela” (cioè ambiti del proprio territorio ritenuti meritevoli di una difesa rafforzata del paesaggio); e infine una norma contraddittoria con il suo scopo dichiarato: quello di “ridurre il consumo di suolo”, senza nemmeno prevedere delle compensazioni – in gergo: monetizzazioni – rispetto al nuovo e ulteriore carico urbanistico.
Nella sentenza si legge come venga limitata “la funzione fondamentale dei Comuni in materia di pianificazione urbanistica” spingendosi “oltre la soglia dell’adeguatezza e della necessità”. Una norma che non lascia agli enti locali la libertà di decidere “delle funzioni da insediare sul proprio territorio”. Ancora: si legge nel dispositivo che grazie agli “ampliamenti di volumetria riconosciuti a chi intraprenda operazioni di recupero di immobili abbandonati, stabiliti in misura fissa e in percentuale significativa oscillante tra il 20 e il 25 per cento” ai “Comuni lombardi” viene “imposta una disciplina che genera un aumento non compensato della pressione insediativa, che per certi aspetti potrebbe risultare poco coerente con le finalità perseguite dalla stessa legge regionale” in vista dell’obiettivo di “minimizzazione del consumo di suolo”.
Ora c’è da capire quali saranno le conseguenze e la decisione che prenderà sulla materia il Comune di Milano della nuova giunta guidata da Beppe Sala e del neo assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi. La partita è tutt’altro che finita. Dopo la prima pronuncia del Tar Lombardia e l’invio delle carte alla Consulta, infatti, Regione Lombardia ha deciso di modificare la legge nella forma e parzialmente nella sostanza, senza attendere la decisione dei giudici costituzionali. Su spinta propulsiva dell’assessore leghista al Territorio della giunta Fontana, Pietro Foroni, sono stati abbassati i tempi di “abbandono” necessario di un palazzo per usufruire del bonus volumetrie: da 5 anni a un anno. Ma soprattutto è stata lasciata la facoltà ai Comuni di esprimersi rispetto alla validità-veridicità della documentazione presentate dai privati per certificare lo stato di degrado di un edificio. Inoltre Palazzo Marino ha tempo fino al 31 dicembre 2021 per individuare alcuni ambiti della città dove non si applicano i benefici, come forma di tutela paesaggistica. Il nuovo testo ora lascia margini di discrezionalità più ampi sulla gestione del proprio territorio, anticipando di fatto una delle motivazioni addotte dalla Corte Costituzionale. Ma se il Comune non si esprime entro fine anno vale il silenzio-assenso e viene riconosciuto in automatico un bonus volumetrico del 20 per cento. Un sola domanda pende ancora sull’intera vicenda: come si comporterà Piazza della Scala?