Scuola

Università, passa la legge sulle lauree abilitanti. Ma la svolta arrivò già col Cura Italia

Il disegno di legge n. 2751, presentato in Parlamento il 27 ottobre 2020, dall’allora presidente del Consiglio Conte e dal ministro dell’università Manfredi, è diventato legge dello Stato, con l’approvazione definitiva del Senato. La nuova legge introduce modifiche importanti in molti corsi di laurea, sia dal lato dell’offerta formativa che dal lato del riconoscimento e certificazione delle competenze tecnico-pratiche degli studenti. La novità più rilevante è l’inserimento nell’esame conclusivo del corso di studi della prova abilitante all’esercizio di alcune professioni. Non si tratta pertanto dell’eliminazione dell’esame di Stato, finora previsto nella fase post-laurea, ma di una sua anticipazione in sede di laurea.

Non v’è dubbio che, così facendo, si persegue, da un lato, la finalità di semplificazione della prova abilitante e, dall’altro lato, quella del risparmio finanziario dello Stato, venendo meno il suo compito organizzativo di mega-concorsi pubblici annuali. La semplificazione della prova abilitante intende inoltre consentire ai neolaureati di accedere immediatamente al mercato del lavoro, eliminando il lasso temporale intercorrente tra il conseguimento della laurea e il superamento dell’esame di Stato.

Le novità introdotte ora dalla legge erano da tempo richieste da diversi ordini professionali, da ultimo anche dal Pnrr. Tuttavia, una svolta concreta in questa direzione si è realizzata soltanto con la legge n. 27/2020 (“Cura Italia”), la quale ha introdotto con l’art. 102 la laurea abilitante in medicina e chirurgia. L’emergenza pandemica, insieme alla necessità di dare risposte alle carenze del Servizio sanitario nazionale, ha dunque imposto la modifica strutturale delle lauree in medicina. Aperta la via, non restava che allargarla. Infatti, la nuova legge prevede ora lauree magistrali abilitanti all’esercizio delle professioni di odontoiatra, farmacista, veterinario e psicologo.

Non solo. La legge interviene anche nell’ambito delle lauree professionalizzanti, da poco introdotte nel sistema universitario, per rendere alcune di queste abilitanti all’esercizio di diverse professioni: geometra, agrotecnico, perito agrario e perito industriale. Secondo il Ministero, i corsi di laurea professionalizzanti in Italia sono attualmente 15 e coinvolgono alcuni atenei (Bari, Bologna, Bolzano, Firenze, Marche, Modena, Napoli, Padova, Palermo, Salento, Sassari, Siena, Udine) e alcuni settori (Ingegneria, Edilizia e territorio, Energia e trasporti).

La legge, inoltre, prevede anche la possibilità che siano resi abilitanti anche altri titoli accademici – ossia quelli che consentono l’accesso agli esami di Stato per le professioni di tecnologo alimentare, dottore agronomo e forestale, pianificatore, paesaggista e conservatore, assistente sociale, attuario, biologo, chimico e geologo – a patto che questi siano richiesti dai consigli dei rispettivi ordini o collegi professionali. In tal caso, sarà sufficiente il regolamento adottato dal Ministero dell’università, senza che intervenga nuovamente il legislatore.

Il pilastro sul quale si regge questa modifica del percorso accademico è il tirocinio curricolare, il quale verrebbe necessariamente potenziato e valorizzato. L’esame finale – che oltre alla discussione della tesi di laurea include una prova tecnico-pratica per la verifica delle competenze acquisite – mette al centro proprio l’esperienza del tirocinio svolto durante il percorso accademico. In alcuni corsi di laurea non si tratta di modificare molto in questo senso, perché già prevedono dei tirocini curricolari importanti (come quantità di ore di tirocinio). Per altri, invece, si tratta di ridefinire in modo significativo l’offerta formativa nonché l’organizzazione del corso, al fine di consentire il potenziamento dei tirocini esistenti.

Se l’eliminazione del tirocinio post-laurea non può che essere valutato positivamente, restano delle criticità sul possibile aumento delle ore di tirocinio curricolare per le lauree abilitanti, senza che siano previsti per legge dei contributi economici adeguati. Il legislatore tende a dimenticare che l’attività formativa in contesto lavorativo impone sempre un contributo lavorativo da parte dei tirocinanti. In alcuni casi, come dimostrano ormai numerose ricerche, certe aziende o enti pubblici tendono perfino a vedere nei tirocinanti dei lavoratori a costo zero. Il rafforzamento del legame tra mondo del lavoro e università non può essere costruito sempre a spese degli studenti.

La novità legislativa rafforza inoltre una tendenza già in atto da diverso tempo, ossia la costruzione di due separati percorsi formativi in ambito universitario: uno professionalizzante e l’altro teorico. Come a voler riprodurre anche nell’alta formazione la divisione tra licei e istituti tecnici. Invece di cercare una sintesi felice per avere soggetti con una formazione completa, si preferisce rispondere alle esigenze del mercato.