Risvegli amari. L’inflazione si “gusta” già dalla colazione, il cui costo è salito sui massimi da 10 anni. Questo è quanto risulta dall’apposito “breakfast index” elaborato dal quotidiano britannico Financial Times in base alle quotazioni sui mercati di caffé, latte, zucchero, grano, succo di arancia. L’indice è salito del 63% rispetto al 2019 dopo che le industrie alimentari hanno iniziato a ritoccare i prezzi per far fronte ai problemi di approvvigionamento e quindi ai rincari delle materie base. Va detto che il quadriennio 2016-2019 era stato caratterizzato da prezzi insolitamente bassi grazie a un periodo di raccolti particolarmente generosi. Come in molti altri settori la ripresa della domanda post-pandemia è stata però più veloce del previsto, spiazzando i fornitoti e creando pressioni sulla catena di approvvigionamento. Inoltre i costi dei trasporti sono saliti a causa dei rincari dei carburanti. L’aumento della domanda di biocarburanti, che si verifica ogni volta che il costo dei combustibili fossili sale, contribuisce a spingere salire i prezzi degli oli vegetali, come l’olio di colza, di soia e di palma.
Come se non bastasse i meteorologi si attendo eventi atmosferici estremi in Asia per il secondo anno consecutivo oltre ad altri periodi di siccità e gelate. Il costo dei fertilizzanti, che sono realizzati con gas naturale, è infine salito dopo che molti produttori hanno fermato i loro impianti a causa dell’aumento dei prezzi del gas. Nell’ultimo anno i prezzi del grano sul mercato è così salito del 20%, quelli dell’avena sono raddoppiati. Il costo dello zucchero è salito del 26% da inizio anno mentre il caffè del 56%. Quello che preoccupa gli analisti è la lentezza con cui l’offerta si sta adeguando alla forte domanda, dinamica che lascia suppore che i prezzi non siano destinati a scendere a breve.