Saranno coperti anche i dipendenti delle aziende con meno di 5 addetti, ma non è prevista una fase transitoria in cui la contribuzione aggiuntiva sia a carico dello Stato come si ipotizzava in estate: c'è solo uno "sconto" per il 2022. E per le società più grandi l'aliquota sale notevolmente. Le associazioni che rappresentano le società del terziario e dei servizi chiedono un incontro "urgentissimo" al governo. Altre modifiche riguardano il decalage della Naspi, la durata della Discoll e la cassa in deroga
Anche lavoratori a domicilio, apprendisti e micro imprese con meno di cinque dipendenti avranno accesso agli ammortizzatori sociali. E una parte dei cassintegrati – quelli che avevano stipendi fino a 2.100 euro circa – si vedrà aumentare l’assegno. Con la legge di Bilancio prende il via la riforma degli strumenti di sostegno al reddito scritta dal ministro del Lavoro Andrea Orlando, che giovedì sera dopo il consiglio dei ministri ha confermato l'”ambizione universalistica” del progetto e rivendicato di aver ottenuto una dote di 3 miliardi (4,6 di saldo netto). Ma il costo complessivo è più alto. E le associazioni che rappresentano le società del terziario e dei servizi – da Confcommercio a Confesercenti, Federdistribuzione e Alleanza cooperative – sono già sul piede di guerra perché fin dal prossimo gennaio dovranno pagare contributi aggiuntivi. Rivendicano la necessità di “un periodo transitorio congruo per l’entrata a regime dei nuovi strumenti, accompagnato da idonee misure di riduzione strutturale del costo del lavoro”, e hanno chiesto al governo un incontro “urgentissimo” per discuterne.
La riforma parte dalla considerazione che la pandemia ha messo a nudo una serie di difetti strutturali dell’attuale sistema di politiche passive riformato con il Jobs Act. A partire dall’eccessiva frammentazione e del gran numero di lavoratori scoperti, per i quali è stato necessario inventare in fretta e furia la Cig con causale Covid. Di qui la decisione di modificare il sistema per offrire tutele anche ai non garantiti. Dopo i primi annunci arrivati nelle ore successive alla nascita del governo Draghi, le ambizioni si sono scontrate con la resistenza di sindacati e associazioni degli industriali e il problema dei costi. I tecnici avevano stimato in 8 miliardi le coperture necessarie per estendere la protezione del Fondo di integrazione salariale eliminando la cig in deroga, concedere la cig straordinaria per “transizione occupazionale” anche alle aziende con meno di 15 dipendenti, rendere più morbido il decalage della Naspi, ampliare il contratto di espansione e tutelare anche gli autonomi mettendo a regime l’indennità Iscro. Di risorse, anche incamerando i risparmi ottenuti con l’abolizione del cashback, ne sono state trovate meno della metà. E non tutto l’impianto ha retto. Nella bozza, per esempio, non c’è alcun accenno alle partite Iva se non per includerle tra i beneficiari delle misure di assistenza per il reinserimento al lavoro previste dal programma Garanzia di occupabilità dei lavoratori.
Cig per le microimprese e aumento delle aliquote – Le 13 settimane di integrazione salariale per chi ha meno di cinque dipendenti (per le imprese più grandi sono 26 nel biennio mobile) nelle bozze ci sono, ma l’intento di far gestire tutto il sistema all’Inps eliminando i Fondi di solidarietà bilaterali costituiti da sindacati e associazioni datoriali è sfumato. Risultato: anche le microimprese dovranno aderire al fondo di settore. Solo in sua assenza al Fondo di integrazione salariale Fis istituito presso l’istituto di previdenza centrale. Quanto ai costi, se in agosto si ipotizzava che nella prima fase le quote di finanziamento sarebbero state interamente pagate dallo Stato, il punto di caduta è che otterranno solo uno sconto per il 2022. L’aliquota, fissata allo 0,5% per i piccolissimi e allo 0,8% per chi ha oltre 5 dipendenti, sarà infatti ridotta solo l’anno prossimo di 0,35 punti (a 0,15) per i primi, di 0,25 per le aziende con più di 5 e fino a 15 dipendenti, di 0,11 punti oltre i 15 e di 0,56 per imprese commerciali e del turismo oltre i 50 dipendenti. Spese aggiuntive che le imprese, a partire dai commercianti, non vogliono accollarsi. Confermato, poi, che chi utilizza la prestazione deve versare un contributo addizionale del 4% calcolato sulle retribuzioni perse dai lavoratori coinvolti.
Cassa straordinaria per tutti i settori già oltre i 15 dipendenti – Le imprese oltre 15 dipendenti, le compagnie aeree e i partiti, oltre all’aumento dell’aliquota – oggi allo 0,45% fino a 50 lavoratori e 0,65% oltre – continueranno a pagare lo 0,90% della retribuzione imponibile (di cui un terzo a carico dei lavoratori) per finanziare la cig straordinaria. Che potrà essere chiesta dalle aziende con più di 15 dipendenti di tutti i settori produttivi, mentre oggi quelle del commercio possono accedere solo se ne hanno oltre 50. Alle attuali causali per la cigs, cioè riorganizzazione aziendale, crisi e contratto di solidarietà, si aggiunge quella della gestione di “processi di transizione” che andranno individuati e regolati con decreto del ministro del Lavoro, sentito quello dell’Economia. E anche le medie aziende con almeno 50 addetti avranno accesso al contratto di espansione, introdotto nel 2019 dal decreto Crescita per le aziende con più di 1000 dipendenti ed esteso lo scorso anno a quelle con oltre 250 dipendenti: lo strumento prevede la concessione di cassa integrazione straordinaria e agevolazioni per l’esodo anticipato dei dipendenti più vicini alla pensione, a fronte di un piano di assunzioni di giovani anch’esse agevolate: un modo per favorire la staffetta generazionale.
Cassa integrazione più “pesante” per chi guadagna meno di 2.100 euro – Cosa cambia, invece, per i percettori di cassa integrazione e trattamento di disoccupazione (Naspi)? Sul primo fronte la manovra elimina il primo “tetto” previsto da uno dei decreti attuativi del Jobs Act e rivalutato annualmente dall’Inps, che riduce l’assegno a cifre ben più basse rispetto all’80% della retribuzione garantito sulla carta. Oggi il limite è a 998 euro lordi per chi ha retribuzioni mensili pari o inferiori a 2.159,48 euro. Dal 2022 resterà in vigore solo il secondo massimale, quello di 1.199 euro lordi. Nulla cambia invece per le retribuzioni sotto i 1.200 euro lordi, visto che in quel caso l’80% era comunque al di sotto del primo tetto, e per quelle superiori a 2.159 euro per le quali il limite rimane fissato 1.439,66 euro.
Il taglio della Naspi rinviato al sesto mese di percezione – Per quanto riguarda la Naspi, il decalage del 3% non inizierà più dopo quattro mesi ma dopo sei, che salgono a otto per percettori oltre i 55 anni di età. E per poterla chiedere non servirà più aver totalizzato almeno trenta giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi prima della cessazione del rapporto di lavoro, Infine le modifiche alla Dis Coll, la prestazione che spetta ai collaboratori coordinati e continuativi che restano senza lavoro: la durata dell’assegno si allunga da un massimo di sei mesi a dodici. Viene comunque versata per un numero di mesi pari ai mesi di contribuzione accreditati nel periodo che va dal primo gennaio dell’anno precedente alla perdita del posto.