All'imputato, proprio alla luce dei fatti, non sono state concesse le attenuanti generiche. Nei suoi confronti anche l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e la condanna al risarcimento dei danni, con una provvisionale di 110mila euro per la sorella dell'operaio
Un operaio colpito da un cavo d’acciaio nel bosco. Un balzo di una decina di metri. La morte per trauma cranico. Ma non solo. Il corpo del malcapitato, che era stato ingaggiato “in nero”, fu poi fatto trasportare altrove dal datore di lavoro, per simulare che il decesso riguardasse una persona trovata per caso lungo la strada di montagna. Addirittura alcuni pezzi d’albero erano stati appoggiati sulle gambe, per fugare ogni sospetto. Un processo agghiacciante si è celebrato a Trento, concludendosi con una condanna a 4 anni e 5 mesi per omicidio colposo e mancato rispetto delle norme di sicurezza. All’imputato, proprio alla luce dei fatti, non sono state concesse le attenuanti generiche. Nei suoi confronti anche l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e la condanna al risarcimento dei danni, con una provvisionale di 110mila euro per la sorella dell’operaio.
Si tratta di un caso estremo, in materia di decessi sul posto di lavoro, quello che è stato ricostruito davanti al giudice monocratico di Trento. E’ riferito ai fatti accaduti il 19 novembre 2018 in Val delle Moneghe a Sagron Mis, tre settimane dopo la tempesta Vaia. La sentenza ha confermato la versione del pm. Il titolare dell’azienda abita nell’Agordino, mentre la vittima era di origine moldava e risiedeva a Santa Giustina, sempre nel Bellunese. Quel giorno c’erano altri due operai, colleghi. Tutti senza contratto. Nel bosco, quindi, erano in quattro. Il titolare azionava una escavatrice e tirava un cavo per realizzare una teleferica che sarebbe servita per trasportare il legname. La fune si era tranciata e aveva colpito in pieno la vittima, che si trovava lì vicino.
Dopo un po’, il responsabile dell’azienda aveva dato l’allarme. Un operaio comunale e vigile del fuoco, il primo ad intervenire con un defibrillatore. “C’era un corpo steso nel bosco e una macchina grigia parcheggiata in zona. Un boscaiolo, unica persona presente, mi riferiva che mentre stava scendendo aveva trovato la persona a terra. Ho chiamato il 112, ho praticato il massaggio cardiaco, ma non dava segni di vita. Poi il medico ha constatato il decesso. L’uomo vestiva indumenti da boscaiolo e in loco non c’erano strumenti di lavoro, mentre il terreno non presentava segni di trascinamento o di sangue”. Il giorno dopo, la sorella del ragazzo rimasto ucciso ha denunciato ai carabinieri: “Ho parlato al telefono con uno dei suoi colleghi e mi ha raccontato che era vicino ad un altro ragazzo. Hanno cominciato a gridare al titolare che era successo un incidente. Uno degli operai lì presenti diceva di chiamare il pronto soccorso, mentre il responsabile dell’azienda diceva ‘Cosa vuoi che mi mettano la multa qua sono cazzi’”. Secondo uno dei ragazzi, la vittima “aveva gli occhi chiusi, ma respirava ancora”.
Il primo testimone oculare ha raccontato: “Ho visto che si è spaccata la corda e il ragazzo che veniva sbalzato in aria per poi cadere a pochi metri dalla strada. Non avevamo radio, non avevamo il casco. Il capo riferiva che il corpo doveva essere spostato da lì, io rispondevo che non dovevano toccarlo e che dovevamo aspettare i soccorsi. Nonostante le mie rimostranze il titolare e l’altro ragazzo prendevano la vittima e la portavano sulla strada… caricavano il corpo sul sedile posteriore dell’auto della stessa vittima. L’altro ragazzo si metteva alla guida e mi faceva salire… il titolare saliva a bordo della sua auto e ci fermavamo qualche centinaio di metri più avanti… il titolare e il ragazzo prendevano il corpo, lo posizionavano sul margine della strada mettendogli sopra due pezzi di legno”. Solo a quel punto il datore di lavoro aveva chiamato i soccorsi. Intanto i due testimoni si dirigevano a piedi verso il paese. Uno dei due ha aggiunto: “Lo hanno preso di peso e spostato senza controllare, non lo hanno soccorso… Inizialmente il capo voleva buttarlo in un dirupo che si trova vicino a dove hanno lasciato il corpo, il ragazzo si è rifiutato e ha detto che questo lui non lo faceva”.
Ed ecco la versione dell’altro testimone, che non conferma solo quest’ultimo punto. “Assolutamente no, non mi ha chiesto di gettare il corpo nel dirupo. Il capo è salito e mi ha detto: ‘Poveretto, non si può lasciarlo qua, lo portiamo più avanti dove possono arrivare i soccorsi’. Io ho guidato la macchina, lo abbiamo spostato più avanti, fuori dal cantiere, dopodiché io sono stato preso dal panico e mi sono allontanato. Ero sotto shock, non ho controllato se fosse vivo, nemmeno il capo lo ha fatto”.
Ad accorgersi che qualcosa non andava nella versione erano stati i medici del pronto soccorso. Hanno accertato che il decesso era stato quasi istantaneo. Per questo non è scattata anche l’accusa di omissione di soccorso, ma le omissioni in materia antinfortunistica hanno indotto il giudice ad emettere una pena severa per un omicidio colposo. L’imputato non ha mai aperto bocca, tenendosi la testa stretta fra le mani. Alla lettura della sentenza, la sorella del ragazzo morto è scoppiata in un pianto disperato.