Sembra insormontabile la linea di Cina, India e Russia che chiedono scadenze meno stringenti per l'azzeramento delle emissioni. Oggi si apre a Glasgow la conferenza globale Cop26 dedicata alle azioni da intraprendere per limitare l'aumento della temperatura globale. Un "flop" al G20 di Roma rischia di condizionare anche il vertice scozzese. E i leader cominciano a mettere le mani avanti
Basti pensare che il premier britannico Boris Johnson (si parla, dunque, del Paese che ha la presidenza della Cop 26) ha dichiarato che “bisogna essere molto modesti in questo momento” per quanto riguarda le aspettative sugli impegni presi per fare fronte ai cambiamenti climatici e “riconoscere quanto sia grande questa sfida”. Oggi si tengono due sessioni di lavoro ad hoc sul cambiamento climatico e sullo sviluppo sostenibile, poi la sessione conclusiva del vertice, che sarà seguita dalla conferenza stampa del presidente del Consiglio, Mario Draghi e degli altri leader. Il rischio è che nulla o poco si sia mosso rispetto al G20 di Napoli, quello in cui mesi fa il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, non è riuscito a portare a casa un accordo sulla decarbonizzazione e sull’impegno a rimanere sotto 1,5 gradi di riscaldamento globale. Se non c’è intesa sui tempi della prima, rischia di saltare anche il secondo. E allora come oggi, nello zoccolo duro, ci sono gli stessi Paesi.
I segnali dagli Usa – Nelle riunioni con i suoi principali consiglieri di politica estera nelle scorse settimane lo stesso presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha espresso chiaramente il suo scetticismo riguardo alla possibilità che i principali inquinatori accettino l’impegno di tagliare le emissioni. Secondo fonti citate dal Washington Post avrebbe detto: “Fondamentalmente, queste sono stupidaggini: non si muoveranno verso questi obiettivi”. Tutto questo in una riunione alla quale era presente anche il suo inviato speciale per il clima, John Kerry, che per mesi ha viaggiato da Ovest a Est in cerca di accordi, mentre Biden stesso ha ospitato due summit, ad aprile e a settembre. Tra l’altro, proprio dagli Usa, sono arrivate nel frattempo notizie poco rassicuranti. La Corte suprema, infatti, ha deciso di esaminare gli appelli di vari Stati a guida repubblicana e di industrie del carbone che chiedono di limitare i poteri dell’Epa (l’Agenzia per la protezione ambientale) per regolare le emissioni di anidride carbonica in base al Clean Air Act.
La realpolitik dei leader – Ma le perplessità di Biden sono condivise. “C’è il rischio che la Cop26 non ottenga risultati. Anche se le promesse recenti sono state chiare e credibili, e ci sono importanti domande su alcune di esse, stiamo ancora andando in direzione di una catastrofe climatica” ha scritto in un tweet il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. In un’intervista a Sky tg 24, Boris Johnson ha dichiarato che il Regno Unito è “il Paese più ambizioso in Europa”, nel quale entro il 2030, non ci saranno più motori a combustione interna a idrocarburi per le nuove auto. Tuttavia, parlando in termini globali, ha anche ammesso che “dopo Parigi, c’è stata una sorta di deviazione, siamo andati fuori strada”.
Per il premier britannico “G20 e Cop26 potranno essere un successo, ma sarà un successo difficile. Dobbiamo essere molto onesti sui limiti” di ciò che si può fare. “Non possiamo bloccare il cambiamento climatico ed è anche impossibile fermare questo aumento della temperatura – ha proseguito – ma faremo del nostro meglio per tenere viva questa speranza e limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi”. Anche il ministro dell’Ambiente tedesco, Svenja Schulze, ha messo in guardia contro un possibile eccesso di aspettative nei confronti dei risultati della Conferenza mondiale sul clima. “Sarebbe un errore aspettarsi che le conferenze mondiali sul clima salvino spontaneamente il mondo: la sfida è troppo complessa per questo. Glasgow non sarà Parigi 2.0”, ha detto.
A che punto sono i negoziati – Ci sono diversi ostacoli sul percorso per un accordo globale. È proseguito tutta la notte e non sarebbe ancora chiuso il negoziato degli sherpa del G20 sul documento finale del Summit. Si cerca una difficile intesa sugli impegni, primo tra tutti la deadline del 2050 per l’azzeramento delle emissioni che alcuni Paesi come Cina ed India si rifiuterebbero di sottoscrivere, preferendo rimanere sulla scadenza del 2060.
Il presidente cinese Xi Jinping, nel suo intervento in video conferenza, ha precisato che i Paesi a economia avanzata devono dare l’esempio sul fronte della riduzione delle emissioni e “accogliere pienamente le difficoltà e le preoccupazioni dei Paesi in via di sviluppo, attuare i loro impegni sui finanziamenti per il clima e fornire la tecnologia, le capacità e altro sostegno” a questi Paesi. Un freno al taglio dei gas serra prodotti dai combustibili fossili (carbone, petrolio, metano) arriva anche dalle potenze petrolifere, come ad esempio Russia e Arabia Saudita. Anche loro ferme al target del 2060.
Ma se questo ostacolo sembra diventato ormai insormontabile (e così nel documento finale si potrebbe sottoscrivere solo un impegno per emissioni nette zero entro un generico “metà secolo”), si sta lavorando anche a un accordo per aumentare i fondi destinati ai Paesi in via di sviluppo. E forse, su questo obiettivo, ci sono meno ostacoli e più convinzione, come è venuto fuori anche nei giorni della Pre-Cop26 di Milano. Ad oggi è previsto un impegno da 100 miliardi di dollari ancora da completare, ma si punterebbe ad ampliare la cifra e indicare una scadenza ravvicinata per chiudere l’erogazione. Su questo fronte, ci si attende anche un impegno più ambizioso dell’Italia che, come ha suggerito lo stesso ministro Cingolani, dovrebbe raddoppiare i propri sforzi arrivando almeno a un milione l’anno.