di Chiara Illiano
Da qualche giorno ormai sui social e attraverso i media non si fa altro che parlare del fenomeno Squid Game, una serie tv sud coreana che in pochi giorni ha raggiunto il record di visualizzazioni sulla piattaforma che la ospita. Nel contempo – visti i contenuti della serie e le ripercussioni sul mondo social – i genitori, gli insegnanti ed i professionisti in generale si interrogano sull’impatto “educativo” della serie sui minori di 14 anni.
Numerosi episodi in tutto il globo, infatti, riportano adolescenti e bambini impegnati a emulare i giochi e gli atteggiamenti propri della serie tv, fino ad arrivare a mettere in atto vere e proprie sfide violente e atti di bullismo.
L’enorme successo della serie, non solo tra i ragazzi ma anche tra gli adulti, va ricercato all’interno di temi ed immagini visive create ad hoc per generare interesse: i giochi da bambini, le ambientazioni della nostra infanzia, le divise – i numeri – la differenza tra vincenti e perdenti (tutti rimandi alla società attuale)… fino ad arrivare ai simboli presenti sul controller di un noto brand, conosciutissimi dalla comunità dei gamer.
Ma quando ci troviamo di fronte ad un pubblico di bambini e adolescenti la preoccupazione di genitori ed educatori è ovviamente lecita. Siamo all’interno di una fase di sviluppo in cui, infatti, il rischio di emulazione è alto. La maggior parte degli apprendimenti avviene per imitazione e il loro cervello è ancora in fase di sviluppo: la razionalità e il senso critico non sono ancora completamente sviluppati, la percezione del rischio è bassa e le emozioni che derivano dalla visione di scene di volenza non possono essere ancora correttamente elaborate. Ed è qui che deve intervenire un adulto di riferimento.
Non si può evitare qualcosa che è già accaduto o che coinvolge un numero così grande di persone, non si possono evitare gli argomenti, fare finta che non esistano, perché i ragazzi/bambini andranno a cercare le risposte altrove e, molto probabilmente, non saranno quelle che vorremmo avessero. Squid Game (così come altre serie, altri giochi, altri fenomeni mediatici) è ormai sulla bocca di tutti: i ragazzi ne parlano nelle scuole, tra di loro, sentono che la tv ne discute etc…
E allora hanno bisogno di un adulto che gli parli, che sia in grado di spiegare, che sia per loro quel filtro che a livello cognitivo ancora non hanno e che gli permetta di rielaborare i contenuti ed integrarli; quel filtro che possa fargli distinguere tra realtà e finzione (intesa anche come creazione di un prodotto destinato alla vendita e ad avere successo in un determinato pubblico), tra “buono e cattivo”, tra “giusto e sbagliato” al fine di non giungere a una disorganizzazione emotiva e di pensiero ma a una visione congrua della realtà e delle conseguenze delle proprie azioni. Soprattutto considerando anche che, all’interno della serie Squid Game, vengono trattati rilevanti temi sociali che, se veicolati correttamente, potrebbero essere una fonte educativa di primario interesse per la crescita psicologica e relazionale dei nostri ragazzi: la solitudine, l’amicizia, l’affermazione di sé a discapito degli altri, il superamento dei limiti individuali verso un benessere personale ma anche collettivo, fino ad arrivare alle disuguaglianze sociali ed alla violenza del più forte sul più debole.
Per fare tutto questo è indispensabile l’intervento dei genitori che siano da guida per indicare la strada da percorrere e per trasmettere quei valori indispensabili in una società civile; ma anche la creazione e realizzazione nelle scuole di interventi di alfabetizzazione emotiva e digitale in grado di generare un’azione preventiva ed efficace. Il fatto che i nostri ragazzi sappiano usare i dispositivi tecnologici non significa che siano in grado di comprenderne i benefici e, soprattutto, i rischi; oppure che siano consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni sull’altro. Come diceva Maria Montessori: “Il bambino è sensibile a un punto estremo, impressionabile in modo tale che l’adulto dovrebbe sorvegliare tutti gli atti e le parole, perché esse gli rimangono scolpite nella mente.”