Fermi tutti, si torna al piano originario: Mario Draghi al Quirinale. Potrebbero pure chiamarla “operazione Carlo Azeglio“, nel senso di Ciampi, già maestro del premier in Bankitalia, poi a capo di un governo tecnico citato più volte come termine di paragone dell’attuale esecutivo, infine presidente della Repubblica eletto al primo scrutinio. I tempi non sono ancora maturi, ma l’ultima mossa di Giuseppe Conte, maturata dopo la sconfitta dell’asse con il Pd nel voto al Senato sul Ddl Zan, fa tornare d’attualità un’ipotesi che sembrava ormai impossibile da percorrere: far traslocare il premier da Palazzo Chigi al Colle. “Non possiamo escluderlo, serve una figura di altissima caratura morale e Draghi rientra in questa descrizione, ma devono realizzarsi varie condizioni”, ha detto il presidente dei 5 stelle. Tracciando una strategia difficile da attuare ma che potrebbe portare a tre obiettivi: risolvere il rompicapo del Quirinale a vantaggio dell’asse M5s-Pd, sbarrare la strada del Colle a Silvio Berlusconi o figure a lui vicine e neutralizzare le mire di Matteo Renzi. Ma andiamo con ordine.
Il tramonto di un’ipotesi – Dodici mesi fa il nome dell’ex presidente della Bce era quello del candidato naturale per raccogliere la successione di Sergio Mattarella. In un anno, però, il quadro politico è stato profondamente stravolto. L’agguato di Renzi ha portato alla caduta del governo Conte, che è stato sostituito alla guida dell’esecutivo proprio da mister Whatever it takes. Con l’entrata di Draghi a Palazzo Chigi, però, è andata via via tramontando l’ipotesi di un’elezione al Colle. Non perché il diretto interessato si sia dichiarato indisponibile: anzi fino a oggi Draghi ha sempre dribblato ogni domanda diretta sul tema. Semmai a escludere la sua elezione a capo dello Stato sono stati, per motivi diversi, i leader dei partiti che sostengono il suo governo: da una parte si producono in entusiastiche lodi per il premier, dall’altra sperano di portare al Colle qualcun altro e allontanare così lo spettro del voto anticipato.
Quelli che non vogliono Draghi (per ora) – Mentre Berlusconi continua a coltivare per se stesso il sogno proibito di un’elezione che solo fino qualche mese fa sarebbe sembrata impossibile, gran parte dei parlamentari di Forza Italia non avrebbe alcun interesse a eleggere un capo dello Stato per poi tornare subito alle urne: perderebbero, infatti, il seggio con un anno d’anticipo. Simile la posizione di Matteo Salvini, impegnato in una sfida all’ultimo sondaggio con la rivale Giorgia Meloni che lo vede al momento sconfitto: in caso di voto anticipato, il capo della Lega sarebbe subalterno alla leader di Fratelli d’Italia. Secondo Enrico Letta, invece, mandare Draghi al Quirinale per poi andare al voto “non è l’interesse dell’Italia“. Una posizione dettata dall’evidente rischio urne, ma forse anche dal fatto che dentro al Pd sono in parecchi quelli che si considerano legittimi aspiranti al Colle: da Dario Franceschini a Paolo Gentiloni.
La mossa di Conte – Nomi, questi ultimi, che secondo vari retroscena avrebbero lasciato freddo Conte. Il leader dei 5 stelle, cioè il partito di maggioranza relativa in Parlamento, ha dunque deciso di provare a giocare le sue carte: la prima che ha messo sul tavolo ha la faccia di Draghi. Conte, però, si è subito affrettato a spiegare che tale ipotesi non significherebbe un automatico ritorno alle urne. “Dobbiamo spingere al 6% di Pil, dobbiamo continuare ad attuare il Pnrr e l’avvio iniziale è fondamentale: in tutto questo, pensare di eleggere un presidente e un attimo dopo andare a votare, chiunque sia, non è nell’ordine delle cose”, è il ragionamento dell’ex presidente del consiglio. Un messaggio che ha due destinatari: da una parte i peones che temono il ritorno alle urne, a cominciare da quelli del M5s, il partito che più di tutti pagherà la riduzione del numero dei parlamentari, dall’altra l’alleato Letta. In effetti a pochi giorni dall’affossamento col voto segreto del ddl Zan al Senato, il segretario del Pd potrebbe aver già cambiato la sua opinione sul Colle. Sicuramente avrà ascoltato le dichiarazioni di Pier Luigi Bersani: “Temo che quella di Palazzo Madama sia una prova generale per il quarto scrutinio per il Quirinale“, sono state le parole dell’ex segretario, sfrattati dal Nazareno nel 2013 dai franchi tiratori che impallinarono Romano Prodi nella corsa al Colle. All’epoca i sospetti caddero tutti o quasi su Renzi, lo stesso che oggi i dem indicano come il regista occulto dell’azzoppamento della legge contro l’omotransfobia. E che secondo i maligni avrebbe già l’accordo col centrodestra per eleggere il nuovo capo dello Stato. È proprio per bruciare Renzi e il suo dialogo con Salvini e Berlusconi che Conte ha tirato fuori il nome di Draghi, spiegando che “bisogna avviare un percorso di confronto con tutte le forze politiche”. Anche col centrodestra? “Sì, anche col centrodestra“.
Il pallottoliere dei Grandi elettori – I numeri infatti non mentono. I 43 voti a disposizione di Italia viva sono fondamentali per scegliere il nuovo presidente della Repubblica in tutti gli scenari, tranne uno: quello che prevede l’elezione di un capo dello Stato a larga maggioranza. Un nome che trovi il consenso di tutti o quasi è fino a oggi una ipotesi considerata molto improbabile. I tempi sono ancora poco maturi, ma di sicuro c’è solo che alla fine di gennaio del 2022 a Montecitorio si riuniranno i 1008 Grandi elettori chiamati ad eleggere il tredicesimo presidente della Repubblica: ai 630 deputati e 320 senatori (gli eletti più quelli a vita) si aggiungeranno 58 delegati locali: ogni Regione sceglierà due esponenti per la maggioranza e uno per la minoranza, tranne la Valle d’Aosta che invierà a Roma solo un rappresentante. I delegati regionali non sono ancora stati eletti ma, stando a chi governa le Regioni, dovrebbero essere 33 del centrodestra e 24 del centrosinistra. Come è noto nelle prime 3 votazioni, a scrutinio segreto, serviranno i 2/3 dei voti dell’assemblea, pari a 673 voti. Dopo il terzo scrutinio, invece, è sufficiente la maggioranza assoluta, pari a 505. È a quel punto che, senza un accordo, si farebbero i giochi. Ed è per provare a evitare quel quarto scrutinio che Conte ha aperto a Draghi.
Il centrodestra parte da 451 voti – La coalizione formata da Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega può contare su 451 grandi elettori che fanno riferimento ai partiti dentro la coalizione: 197 sono della Lega, 127 dei berlusconiani, 58 del partito di Giorgia Meloni, 31 di Coraggio Italia-Cambiamo-Idea, 5 di Noi con l’Italia, ai quali si aggiungono i 33 delegati regionali. Se a questi si sommano i 43 voti di Italia viva ecco che il totale fa 494: ne mancherebbero solo 11 per arrivare alla soglia magica di 505, utile per eleggere un presidente al quarto scrutinio. E undici voti, considerata la trasversalità dei gruppo Misto pià alcuni battitori liberi (i parlamentari di + Europa, quelli del Maie, cioè gli italiani all’Estero), non sono difficile da ottenere: tutt’altro. Ecco perché Berlusconi continua a sognare l’elezione: convincere undici persone non sembra essere proibitivo.
Pd e 5 stelle: 420 voti – Dall’altra parte l’asse che si fonda sul centrosinistra più i Cinque stelle può contare su 420 voti. Il Pd ha 133 grandi elettori (Roberto Gualtieri, neo sindaco di Roma, dovrà optare e quindi forse il suo seggio sarà vacante al momento dell’elezione del Colle), il M5s può contare su 233 preferenze, Leu 18, Azione e +Europa su 5, Centro democratico di Bruno Tabacci invece ha 6 deputati. Questo blocco, ai quali si aggiungono i 24 delegati regionali più Gianclaudio Bressa, iscritto al gruppo per le Autonomie ma eletto con il Pd, arriva a quota 420. Ma ci sono anche molti ex 5 stelle che dal 2018 a oggi hanno perso più di cento parlamentari: tra quelli che fanno parte del gruppo l’Alternativa c’è (19) e quelli nel Misto (24), si può arrivare a 463 voti. A questo punto, dunque, i 43 Grandi elettori del partito di Renzi diventerebbero fondamentali per superare la soglia dei 505 pure per un eventuale candidato del centrosinistra.
L’operazione “Carlo Azeglio” – Ecco su cosa si basa la strategia di Renzi: spingere i due schieramenti a un muro contro muro che farebbe diventare i suoi 43 parlamentari fondamentali: un partito al 2% deciderebbe il prossimo presidente della Repubblica. Il quadro, però, cambierebbe completamente con Draghi in campo. Se il premier dovesse ufficializzare la sua disponibilità al Quirinale come farebbero i big del Pd – a partire da Letta – a motivare il loro mancato appoggio? E i colonnelli di Forza Italia, che tanto si sono vantati di aver spinto sul nome dell’ex presidente della Bce, come farebbero a votare per qualcun altro, compreso Berlusconi? Senza considerare i vari peones di Italia viva, sempre pronti a considerare Draghi come un parente di cui andare fieri: davvero finirebbero per non votarlo al Colle per paura di tornare al voto? Ecco perché la vera carta vincente di Conte potrebbe essere quell’assicurazione sulle urne. L’ex premier, d’altra parte, è pur sempre il leader del partito di maggioranza relativa, che sarebbe decisivo per eventualmente varare un nuovo esecutivo dopo Draghi: un altro governo tecnico, magari guidato da Daniele Franco, che metta in sicurezza la spesa dei fondi del Recovery fino alla scadenza naturale della legislatura. Sganciando così lo spettro delle urne anticipate dalla scelta da fare per il Colle. In questo caso si creerebbe una larga maggioranza, capace di eleggere il nuovo capo dello Stato magari già al primo scrutinio: nella storia repubblicana è successo solo tre volte, l’ultima nel 1999 proprio con Ciampi. Ecco perché l’elezione di Draghi sarebbe “l’operazione Carlo Azeglio“. Che dal punto di vista di Conte avrebbe un triplice vantaggio: far uscire l’asse tra dem e 5 stelle dall’impasse di una partita che oggi appare persa,sbarrare la strada a Berlusconi, trasformare i voti dei renziani da fondamentali a inutili.
Politica
Quirinale, Conte apre a Draghi e allontana Berlusconi dal sogno proibito del Colle. E ora i voti di Renzi possono diventare inutili
I tempi non sono ancora maturi, ma l'ultima mossa del leader dei 5 stelle fa tornare d'attualità un'ipotesi che sembrava ormai impossibile da percorrere: far traslocare il premier da Palazzo Chigi al Colle. I numeri infatti non mentono. I 43 voti che ha Italia viva saranno fondamentali per scegliere il nuovo presidente della Repubblica in tutti gli scenari, tranne uno: quello che prevede l'elezione di un capo dello Stato a larga maggioranza
Fermi tutti, si torna al piano originario: Mario Draghi al Quirinale. Potrebbero pure chiamarla “operazione Carlo Azeglio“, nel senso di Ciampi, già maestro del premier in Bankitalia, poi a capo di un governo tecnico citato più volte come termine di paragone dell’attuale esecutivo, infine presidente della Repubblica eletto al primo scrutinio. I tempi non sono ancora maturi, ma l’ultima mossa di Giuseppe Conte, maturata dopo la sconfitta dell’asse con il Pd nel voto al Senato sul Ddl Zan, fa tornare d’attualità un’ipotesi che sembrava ormai impossibile da percorrere: far traslocare il premier da Palazzo Chigi al Colle. “Non possiamo escluderlo, serve una figura di altissima caratura morale e Draghi rientra in questa descrizione, ma devono realizzarsi varie condizioni”, ha detto il presidente dei 5 stelle. Tracciando una strategia difficile da attuare ma che potrebbe portare a tre obiettivi: risolvere il rompicapo del Quirinale a vantaggio dell’asse M5s-Pd, sbarrare la strada del Colle a Silvio Berlusconi o figure a lui vicine e neutralizzare le mire di Matteo Renzi. Ma andiamo con ordine.
Il tramonto di un’ipotesi – Dodici mesi fa il nome dell’ex presidente della Bce era quello del candidato naturale per raccogliere la successione di Sergio Mattarella. In un anno, però, il quadro politico è stato profondamente stravolto. L’agguato di Renzi ha portato alla caduta del governo Conte, che è stato sostituito alla guida dell’esecutivo proprio da mister Whatever it takes. Con l’entrata di Draghi a Palazzo Chigi, però, è andata via via tramontando l’ipotesi di un’elezione al Colle. Non perché il diretto interessato si sia dichiarato indisponibile: anzi fino a oggi Draghi ha sempre dribblato ogni domanda diretta sul tema. Semmai a escludere la sua elezione a capo dello Stato sono stati, per motivi diversi, i leader dei partiti che sostengono il suo governo: da una parte si producono in entusiastiche lodi per il premier, dall’altra sperano di portare al Colle qualcun altro e allontanare così lo spettro del voto anticipato.
Quelli che non vogliono Draghi (per ora) – Mentre Berlusconi continua a coltivare per se stesso il sogno proibito di un’elezione che solo fino qualche mese fa sarebbe sembrata impossibile, gran parte dei parlamentari di Forza Italia non avrebbe alcun interesse a eleggere un capo dello Stato per poi tornare subito alle urne: perderebbero, infatti, il seggio con un anno d’anticipo. Simile la posizione di Matteo Salvini, impegnato in una sfida all’ultimo sondaggio con la rivale Giorgia Meloni che lo vede al momento sconfitto: in caso di voto anticipato, il capo della Lega sarebbe subalterno alla leader di Fratelli d’Italia. Secondo Enrico Letta, invece, mandare Draghi al Quirinale per poi andare al voto “non è l’interesse dell’Italia“. Una posizione dettata dall’evidente rischio urne, ma forse anche dal fatto che dentro al Pd sono in parecchi quelli che si considerano legittimi aspiranti al Colle: da Dario Franceschini a Paolo Gentiloni.
La mossa di Conte – Nomi, questi ultimi, che secondo vari retroscena avrebbero lasciato freddo Conte. Il leader dei 5 stelle, cioè il partito di maggioranza relativa in Parlamento, ha dunque deciso di provare a giocare le sue carte: la prima che ha messo sul tavolo ha la faccia di Draghi. Conte, però, si è subito affrettato a spiegare che tale ipotesi non significherebbe un automatico ritorno alle urne. “Dobbiamo spingere al 6% di Pil, dobbiamo continuare ad attuare il Pnrr e l’avvio iniziale è fondamentale: in tutto questo, pensare di eleggere un presidente e un attimo dopo andare a votare, chiunque sia, non è nell’ordine delle cose”, è il ragionamento dell’ex presidente del consiglio. Un messaggio che ha due destinatari: da una parte i peones che temono il ritorno alle urne, a cominciare da quelli del M5s, il partito che più di tutti pagherà la riduzione del numero dei parlamentari, dall’altra l’alleato Letta. In effetti a pochi giorni dall’affossamento col voto segreto del ddl Zan al Senato, il segretario del Pd potrebbe aver già cambiato la sua opinione sul Colle. Sicuramente avrà ascoltato le dichiarazioni di Pier Luigi Bersani: “Temo che quella di Palazzo Madama sia una prova generale per il quarto scrutinio per il Quirinale“, sono state le parole dell’ex segretario, sfrattati dal Nazareno nel 2013 dai franchi tiratori che impallinarono Romano Prodi nella corsa al Colle. All’epoca i sospetti caddero tutti o quasi su Renzi, lo stesso che oggi i dem indicano come il regista occulto dell’azzoppamento della legge contro l’omotransfobia. E che secondo i maligni avrebbe già l’accordo col centrodestra per eleggere il nuovo capo dello Stato. È proprio per bruciare Renzi e il suo dialogo con Salvini e Berlusconi che Conte ha tirato fuori il nome di Draghi, spiegando che “bisogna avviare un percorso di confronto con tutte le forze politiche”. Anche col centrodestra? “Sì, anche col centrodestra“.
Il pallottoliere dei Grandi elettori – I numeri infatti non mentono. I 43 voti a disposizione di Italia viva sono fondamentali per scegliere il nuovo presidente della Repubblica in tutti gli scenari, tranne uno: quello che prevede l’elezione di un capo dello Stato a larga maggioranza. Un nome che trovi il consenso di tutti o quasi è fino a oggi una ipotesi considerata molto improbabile. I tempi sono ancora poco maturi, ma di sicuro c’è solo che alla fine di gennaio del 2022 a Montecitorio si riuniranno i 1008 Grandi elettori chiamati ad eleggere il tredicesimo presidente della Repubblica: ai 630 deputati e 320 senatori (gli eletti più quelli a vita) si aggiungeranno 58 delegati locali: ogni Regione sceglierà due esponenti per la maggioranza e uno per la minoranza, tranne la Valle d’Aosta che invierà a Roma solo un rappresentante. I delegati regionali non sono ancora stati eletti ma, stando a chi governa le Regioni, dovrebbero essere 33 del centrodestra e 24 del centrosinistra. Come è noto nelle prime 3 votazioni, a scrutinio segreto, serviranno i 2/3 dei voti dell’assemblea, pari a 673 voti. Dopo il terzo scrutinio, invece, è sufficiente la maggioranza assoluta, pari a 505. È a quel punto che, senza un accordo, si farebbero i giochi. Ed è per provare a evitare quel quarto scrutinio che Conte ha aperto a Draghi.
Il centrodestra parte da 451 voti – La coalizione formata da Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega può contare su 451 grandi elettori che fanno riferimento ai partiti dentro la coalizione: 197 sono della Lega, 127 dei berlusconiani, 58 del partito di Giorgia Meloni, 31 di Coraggio Italia-Cambiamo-Idea, 5 di Noi con l’Italia, ai quali si aggiungono i 33 delegati regionali. Se a questi si sommano i 43 voti di Italia viva ecco che il totale fa 494: ne mancherebbero solo 11 per arrivare alla soglia magica di 505, utile per eleggere un presidente al quarto scrutinio. E undici voti, considerata la trasversalità dei gruppo Misto pià alcuni battitori liberi (i parlamentari di + Europa, quelli del Maie, cioè gli italiani all’Estero), non sono difficile da ottenere: tutt’altro. Ecco perché Berlusconi continua a sognare l’elezione: convincere undici persone non sembra essere proibitivo.
Pd e 5 stelle: 420 voti – Dall’altra parte l’asse che si fonda sul centrosinistra più i Cinque stelle può contare su 420 voti. Il Pd ha 133 grandi elettori (Roberto Gualtieri, neo sindaco di Roma, dovrà optare e quindi forse il suo seggio sarà vacante al momento dell’elezione del Colle), il M5s può contare su 233 preferenze, Leu 18, Azione e +Europa su 5, Centro democratico di Bruno Tabacci invece ha 6 deputati. Questo blocco, ai quali si aggiungono i 24 delegati regionali più Gianclaudio Bressa, iscritto al gruppo per le Autonomie ma eletto con il Pd, arriva a quota 420. Ma ci sono anche molti ex 5 stelle che dal 2018 a oggi hanno perso più di cento parlamentari: tra quelli che fanno parte del gruppo l’Alternativa c’è (19) e quelli nel Misto (24), si può arrivare a 463 voti. A questo punto, dunque, i 43 Grandi elettori del partito di Renzi diventerebbero fondamentali per superare la soglia dei 505 pure per un eventuale candidato del centrosinistra.
L’operazione “Carlo Azeglio” – Ecco su cosa si basa la strategia di Renzi: spingere i due schieramenti a un muro contro muro che farebbe diventare i suoi 43 parlamentari fondamentali: un partito al 2% deciderebbe il prossimo presidente della Repubblica. Il quadro, però, cambierebbe completamente con Draghi in campo. Se il premier dovesse ufficializzare la sua disponibilità al Quirinale come farebbero i big del Pd – a partire da Letta – a motivare il loro mancato appoggio? E i colonnelli di Forza Italia, che tanto si sono vantati di aver spinto sul nome dell’ex presidente della Bce, come farebbero a votare per qualcun altro, compreso Berlusconi? Senza considerare i vari peones di Italia viva, sempre pronti a considerare Draghi come un parente di cui andare fieri: davvero finirebbero per non votarlo al Colle per paura di tornare al voto? Ecco perché la vera carta vincente di Conte potrebbe essere quell’assicurazione sulle urne. L’ex premier, d’altra parte, è pur sempre il leader del partito di maggioranza relativa, che sarebbe decisivo per eventualmente varare un nuovo esecutivo dopo Draghi: un altro governo tecnico, magari guidato da Daniele Franco, che metta in sicurezza la spesa dei fondi del Recovery fino alla scadenza naturale della legislatura. Sganciando così lo spettro delle urne anticipate dalla scelta da fare per il Colle. In questo caso si creerebbe una larga maggioranza, capace di eleggere il nuovo capo dello Stato magari già al primo scrutinio: nella storia repubblicana è successo solo tre volte, l’ultima nel 1999 proprio con Ciampi. Ecco perché l’elezione di Draghi sarebbe “l’operazione Carlo Azeglio“. Che dal punto di vista di Conte avrebbe un triplice vantaggio: far uscire l’asse tra dem e 5 stelle dall’impasse di una partita che oggi appare persa,sbarrare la strada a Berlusconi, trasformare i voti dei renziani da fondamentali a inutili.
Il potere dei segreti
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Milano, 12 feb. (Adnkronos) - Il conto in Olanda dove sono stati sequestrati i soldi versati da Massimo Moratti, nell'ambito di una truffa in cui è stato usato il nome del ministro della Difesa Massimo Crosetto, risulta intestato a più persone straniere su cui ora sono in corso gli accertamenti per verificarne l'esistenza e anche per capire eventuali collegamenti con altri soggetti. E' quanto si apprende da fonti investigative.
In particolare, da quanto emerge, sul conto olandese risultano versati i 980mila euro della truffa al presidente di Saras, soldi che il gruppo avrebbe tentato di spostare altrove, ma la tempistica non ha giocato a loro favore e il 'congelamento' del denaro è arrivato prima.
In attesa degli esiti delle rogatorie, si attendono già domani, in procura a Milano si continua a lavorare anche sui numeri telefonici usati per mettere a segno i plurimi tentativi di truffa - ora usando il nome del ministro o del suo staff - nei confronti del gotha dell'imprenditoria e della finanza.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - Sicurezza negli stadi, contrasto alla criminalità e prevenzione dei comportamenti illeciti. Sono le tematiche al centro del tavolo presieduto dai ministri dell’Interno e per lo Sport e i giovani, Matteo Piantedosi e Andrea Abodi che hanno incontrato i presidenti di Figc Gabriele Gravina, Lega serie A, Ezio Simonelli, Lega nazionale professionisti serie B, Paolo Bedin, Lega italiana calcio professionistico, Matteo Marani, Lega nazionale dilettanti, Giancarlo Abete. Presenti anche il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, il capo della Polizia, Vittorio Pisani e il presidente dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive, Mario Improta.
La riunione è stata l’occasione per proseguire il confronto già avviato su proposte e iniziative da mettere in campo congiuntamente. L’obiettivo rimane quello di tutelare le tifoserie sane e di individuare in maniera chirurgica coloro che vanno allo stadio per attuare comportamenti criminali e violenti, assicurando un ambiente più sicuro e vivibile per tutti gli appassionati. Il tavolo ha anche discusso di azioni concrete per contrastare le scommesse illegali e per arginare il fenomeno della pirateria audiovisiva, sanzionando i fruitori dei contenuti illegali. Prossimo incontro tra un mese. Così una nota congiunta dei ministri dell'Interno e per lo Sport e i giovani.
Londra, 12 feb. (Adnkronos) - Non sarà consentito l'alcol ai Mondiali del 2034 in Arabia Saudita. Lo ha dichiarato l'ambasciatore saudita nel Regno Unito, il principe Khalid bin Bandar Al Saud. I tifosi che assisteranno al torneo non potranno trovare bevande alcoliche negli hotel, nei ristoranti o negli stadi. L'Arabia Saudita è un paese differente dal Qatar, dove l'alcol era disponibile in alcuni posti durante i Mondiali del 2022, e non ci saranno eccezioni per questo torneo. "Al momento, non consentiamo l'alcol", ha detto Al Saud a LBC.
"Ci si può divertire molto senza alcol, non è necessario al 100% e se vuoi bere dopo essere andato via, sei il benvenuto, ma al momento non abbiamo alcol. Un po' come il nostro clima, è un paese secco". L'Arabia Saudita è stata confermata come paese ospitante della Coppa del Mondo a dicembre, nonostante le preoccupazioni sui diritti umani. Alla domanda se i tifosi gay di calcio sarebbero stati al sicuro nel paese, Al Saud ha aggiunto: "Daremo il benvenuto a tutti in Arabia Saudita. Non è un evento saudita, è un evento mondiale. E in larga misura, daremo il benvenuto a chiunque voglia venire".
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - Le attiviste del Referendum Cittadinanza hanno lanciato un appello via social alle artiste e agli artisti che in questi giorni si esibiranno sul palco del Festival di Sanremo: dire Sì all’Italia che riconosce tutte le sue figlie e tutti i suoi figli direttamente dall’Ariston. La cantante Giorgia e Brunori Sas sono stati i primi a rispondere all'appello e, insieme alle attiviste di ActionAid Utibe Joseph e Kejsi Hodo, hanno cantato il celebre brano di Toto Cutugno L'Italiano.
Gli artisti, poi, hanno ricevuto in dono un ciuccio con un nastrino tricolore da portare con sé sul palco, come simbolo di tutti quei figli e figlie d'Italia che non hanno ancora il riconoscimento della cittadinanza. Il referendum cittadinanza ha ricevuto l'ok dalla Corte Costituzionale lo scorso 20 gennaio insieme agli altri 4 quesiti sul lavoro promossi dalla Cgil. Andrà al voto in primavera.
Dopo la bocciatura del quesito sull'Autonomia la sfida del quorum si fa più ardua, ed è per questo che i promotori partono proprio dal più popolare spettacolo televisivo italiano per richiamare l'attenzione del Paese sull'appuntamento referendario. Il referendum cittadinanza è stato promosso da +Europa, Possibile, Dalla Parte Giusta della Storia, ActionAid, Libera, Arci, Italiani senza Cittadinanza, Conngi, insieme a una grande rete di oltre 70 organizzazioni.
Milano, 12 feb. (Adnkronos) - La competenza territoriale si radica a Milano, da qualunque lato si inquadri la questione. Lo sostiene la Cassazione nelle motivazioni sul caso Visibilia che vede indagata, tra gli altri, la ministra del Turismo Daniela Santanchè con l'ipotesi di truffa aggravata all'Inps in relazione alla cassa integrazione nel periodo Covid. Nel provvedimento, che segue la decisione dello scorso 29 gennaio, si rigetta la richiesta della difesa di considerare singole ipotesi di truffa (e non una truffa continuata) e di radicare la competenza a Roma.
Per il collegio della seconda sezione penale presieduta da Anna Petruzzellis - chiamato a rispondere alla questione sollevata dalla giudice delle indagini preliminari di Milano Tiziana Gueli - dato che la procura meneghina ha rilevato che l'ultima erogazione dei contributi è stata pagata a un dipendente in una banca nel Milanese, "deve essere affermata la competenza territoriale del Tribunale di Milano". Nell'indagine, coordinata dai pubblici ministeri Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi, risultano coinvolti 13 dipendenti delle due società indagate, Visibilia Concessionaria srl e Visibilia Editore spa, che sarebbero stati messi in cassa integrazione a zero ore senza saperlo (e quindi continuando a lavorare) causando un 'danno' di oltre 126 mila euro versati dall'Inps.
"La soluzione - si legge nella decisione della Cassazione - non cambia nel caso in cui si voglia ancorare la competenza territoriale al momento della richiesta della cassa integrazione, posto che dalla documentazione prodotta in atti risulta che la richiesta è stata inviata alla sede Inps di Milano e che sempre la sede Inps di Milano ha autorizzato la cassa integrazione". Infine, a rafforzare la competenza territoriale il fatto che "avendo le società sede a Milano, il delitto di truffa si è comunque consumato a Milano, al momento della acquisizione dell’ingiusto profitto da parte delle società, che si realizza in concomitanza con la percezione dei contributo da parte dei lavoratori". L'udienza preliminare sul caso Visibilia riprenderà come da calendario il 26 marzo prossimo.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - L'aula della Camera ha approvato la proposta di legge recante 'modifiche alla disciplina della Fondazione Ordine costantiniano di San Giorgio di Parma'. I voti favorevoli sono stati 140, 84 quelli contrari e 3 gli astenuti.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - "Ho visto Sanremo ieri sera, erano anni che non lo vedevo, ma sono rimasto sveglio fino alle 2 per vedermelo tutto. Mi è piaciuto per la qualità espressa, è una vetrina italiana vera. Come ha detto Jovanotti è un po’ come Natale, capodanno, carnevale". Filippo Ricci, direttore creativo della Stefano Ricci Spa, ha commentato così con l'Adnkronos la prima serata del 75esimo Festival di Sanremo e gli outfit del conduttore Carlo Conti creati dalla maison.
Che emozione è stata vedere Carlo Conti con i vostri abiti in apertura del 75esimo Festival della Canzone italiana?
"Siamo abituati a palcoscenici internazionali, ma è la prima volta che saliamo con rispetto sul palco dell'Ariston, tra l'altro con il conduttore e direttore, e quindi è stata una bella emozione. Ero un po' in apprensione che questo outfit gli tornasse bene addosso in una serata movimentata. E' fatto tutto al 100% in Italia, su misura per Carlo, e c'è stato dietro un lavoro di ricerca, insieme a lui, dei tessuti e della costruzione dei modelli in questi mesi, quindi è stato parte proattiva della ricerca e dello sviluppo degli outfit per queste cinque serate", ha spiegato Filippo Ricci.
Che idea avete avuto nello sviluppo degli outfit? Ne utilizzerà uno a serata?
"L'idea che abbiamo avuto, sin dall'inizio, è stata quella di fare un percorso di sartorialità. Noterete che sono tutti outfit abbastanza rigorosi, anche se la qualità dei tessuti conferisce un senso di morbidezza. L'idea era di dare un concetto di eleganza senza tempo perché Sanremo appartiene alla cultura del Paese. Poi ieri sera abbiamo giocato con il colore, il midnight blu, questo blu notte che è ben diverso dal classico nero, anche se ci saranno degli outfit scuri in seguito. Non conosco la sequenza, visto che la deciderà lui con il proprio staff ogni sera. Sono tutti pronti e a disposizione, con un nostro sarto dedicato dietro le quinte. Carlo ha più scelte, ma credo userà un outfit a serata perché da quello che ho visto ieri, nel movimento veloce tra uno spazio e l'altro credo che voglia mantenere un ritmo serrato per le tempistiche sceniche sue".
Quali emozioni ci sono state durante la prima serata del Festival?
"E' stato bello vedere Papa Francesco e ascoltare il suo messaggio, credo che sia la prima volta nella storia del Festival, quindi anche solo quella è stata un'immagine potente. Poi Jovanotti ha provocato una scarica d’energia positiva, da re dell'entertainment", ha spiegato il direttore creativo della Stefano Ricci Spa.
Carlo Conti era preoccupato di non riuscire a valorizzare la classe e la modernità degli smoking, ci è riuscito?
"Ci è riuscito assolutamente, ha un bel portamento, e gli ho detto 'sei proprio un bel modello'. E' un uomo che sa stare sul palcoscenico e vestire dei capi sartoriali. Quello di ieri non era un capo semplicissimo, è una giacca smoking in velluto blu, tra l'altro quello è un jersey di velluto, quindi più morbido, ma lo vestiva molto bene, con i tre pezzi, e sotto aveva un gilet in lana coordinato con il pantalone mohair. Abbiamo voluto fare proprio il tocco estremo di sartorialità con tutto il bordino in raso che è stato fatto su tutto il revere. L'idea era quella di rispettare un percorso abbastanza classico della sartorialità italiana e fiorentina, perché se si va a vedere la spalla, è una vecchia scuola fiorentina il modo di realizzarla in maniera morbida, quindi la giacca è molto leggera".
Queste sera la seconda serata con nuove sorprese?
"Gli abiti sono smoking oppure giacche da cocktail, quindi ci sarà un'alternanza dove Carlo ha possibilità di scelta anche tra cravatta o papillon. Ci hanno scritto in molti sui social, anche dall’estero a conferma di una vetrina internazionale come Sanremo, proprio per avere questa informazione, ed è molto divertente. La cosa interessante è che ci arrivano messaggi da tutto il mondo, perché è il Festival della canzone italiana, è italianissimo, ma lo guardano in America, lo guardano gli italo-americani, lo guardano in Sud America, lo guardano a Est, e comunque la visibilità internazionale è importante. Questo è un palcoscenico di italianità che richiama la musica italiana in generale ma non solo", ha spiegato Filippo Ricci la cui maison vende in tutto il mondo.
I nostri mercati principali?
"Noi produciamo tutto in Italia, ma in Italia vendiamo poco. Noi vendiamo a clienti in tutto il mondo, con le nostre 82 boutique e in Italia ne abbiamo due a Firenze dove è anche la sede dell'azienda, due a Milano, uno a Porto Cervo. Tra i mercati più importanti gli Stati Uniti, le capitali del continente europeo come Londra e Parigi, al Middle East, Dubai, fino alla Cina. A Carlo Conti abbiamo fornito tutto l'outfit, dalle scarpe, alle camicie, e abbiamo anche fatto diversi capi sportivi per le conferenze stampa e gli altri impegni del Festival. Dalle giacche in maglia sportive con le sneaker più casual e abbiamo lavorato insieme per fargli provare un po' di tessuti anche particolari"ha concluso Filippo Ricci. (di Emanuele Rizzi)