L'operazione "Open Prisons" ha ricostruito che le "richieste" arrivavano da alcuni detenuti, i quali poi si occupavano della "rivendita" nell’ambito del reparto G8: i beni erano nascosti nei pacchi consegnati dai familiari durante i colloqui. Gli arrestati sono indagati a vario titolo per spaccio di sostanze stupefacenti, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione e corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio
Un traffico di stupefacenti, cellulari e schede sim introdotti in modo illecito nel carcere di Rebibbia a Roma, nascosti persino nella pizza. Con le “richieste” che arrivavano da alcuni detenuti i quali poi si occupavano della “rivendita” nell’ambito del reparto G8. L’operazione dei Carabinieri e della Polizia penitenziaria, denominata Open Prisons, ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di sette persone – cinque in carcere e due ai domiciliari – indagate a vario titolo per spaccio di sostanze stupefacenti, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. L’indagine della Procura di Roma, aperta a luglio 2019, si è conclusa lo scorso febbraio. Nel ricostruire la filiera dello spaccio è emerso, tra l’altro, il coinvolgimento dei familiari di alcuni carcerati, che per veicolare lo stupefacente e le sim si servivano dei pacchi consegnati in occasione dei colloqui. Uno di quelli sequestrati conteneva una pizza con dentro dieci sim card e quaranta pasticche di sostanza oppiacea.
Nella rete era coinvolto anche un agente penitenziario, già sospeso dalle funzioni in via cautelare e ora agli arresti domiciliari, che secondo gli investigatori ha fatto da tramite tra i detenuti e l’esterno per procurare i beni illeciti: è indagato per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. L’agente, recita l’ordinanza, si era accordato “ripetutamente” con un detenuto “per l’introduzione all’interno del carcere, a cadenza mensile, di più pacchi contenenti sostanza stupefacente, cellulari e sim card e altri oggetti richiesti di volta in volta dal detenuto nonché per consentire l’utilizzo di telefoni cellulari all’interno delle celle durante il proprio orario di servizio, ricevendo in cambio, per ogni consegna, 300 euro o altre utilità“, è detto nell’ordinanza. Per il giudice l’agente “ha mostrato una notevole capacità a delinquere essendosi posto a servizio dei detenuti in totale spregio della divisa indossata”.