Di Jair Messias Bolsonaro, attuale presidente del Brasile, si parla pressoché ogni giorno sulla stampa mondiale, ma da qualche giorno la sua figura è diventata centrale anche in Italia. L’iniziativa di Alessandra Buoso, sindaca leghista del piccolo paese di Anguillara Veneta (Padova), di concedere la cittadinanza onoraria al mandatario latinoamericano ha scatenato una contesa politica e ideologica che si è estesa ben oltre il piccolo comune del nord Italia.
Bolsonaro, in Italia in questi giorni per la celebrazione del G20 voluto da Mario Draghi, è una presenza ingombrante che se da un lato ricorda il successo dei migranti italiani all’estero, dall’altro non rappresenta per molti (compreso il sottoscritto) un modello da seguire, imitare o elogiare. In questo senso ci viene in aiuto un prezioso documento redatto a fine settembre da Amnesty International: un report dal titolo 1000 dias sem direitos – as violações do governo Bolsonaro (‘mille giorni senza diritti: le violazioni del governo Bolsonaro’). Si tratta di un resoconto lapidario dell’operato di Bolsonaro dal 1° gennaio 2019 (quando ha assunto la presidenza) alla data di lancio del report. Una denuncia a tutto campo che analizza 32 situazioni in cui il governo Bolsonaro ha intrapreso azioni che hanno leso i diritti dei brasiliani e delle brasiliane.
Tra le situazioni elencate ci sono la gestione della pandemia, la riduzione della libertà di espressione e dello spazio civico (attacchi alla stampa), discorsi contro i diritti umani, contro i diritti dei popoli indigeni, attacchi diretti all’Amazzonia, azioni sulla politica della sicurezza (privilegiando un maggiore accesso alle armi) e vere e proprie minacce allo stato di diritto. Insomma, una lista davvero lunga e “pesante” che non è altro che la manifestazione di ciò che il curriculum del neoeletto presidente Bolsonaro faceva (purtroppo) sperare nei primi giorni del 2019.
Da sempre tra i bersagli dell’ex capitano dell’esercito, con alle spalle sette mandati come congressista alla camera dei deputati (1991-2018), ci sono state le donne e la comunità LGBTQ+. Dalle abominevoli dichiarazioni del 2003 quando disse con arroganza ad una deputata che questa non era “degna di essere violentata”, fino a quando manifestò che non sarebbe stato capace di amare un figlio omosessuale. Da sempre ha avuto come pallino la diffusione delle armi e il libero accesso alla compravendita delle stesse e non ha fatto mancare palesi espressioni di nostalgia verso il passato della dittatura militare brasiliana. Nel 2017, rispetto all’operato delle forze dell’ordine, fortemente criticato per esempio dalla compianta Marielle Franco, disse che un poliziotto che non uccide non è un poliziotto.
Questo era il Bolsonaro che diventò presidente e nei mille giorni successivi non solo non ha cambiato stile, ma anzi ha usato il potere concesso dalla sua carica per espandere la sua influenza e attaccare direttamente chi si oppone alla sua narrazione della realtà.
Jurema Werneck e Erika Guevara-Rosas, rispettivamente direttrice di Amnesty International Brasile (dal 2017) e Direttrice per le Americhe della stessa organizzazione, ricordano che: “Il Paese che Bolsonaro ha descritto nel suo recente discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite non esiste. Lontano dalle pretese di un presidente che afferma di governare un Paese senza corruzione, con una solida protezione ambientale e una credibilità restituita di fronte al mondo, la realtà è che il Brasile è impantanato in una grave e multidimensionale crisi dei diritti umani”.
La disoccupazione e la disuguaglianza in Brasile sono cresciute in modo allarmante sotto la gestione Bolsonaro e chi ne ha fatto di più le spese sono soprattutto le comunità afrodiscendenti e indigene: tra loro in modo protagonistico le donne. A questo si aggiunge la disastrosa gestione della pandemia, da negazionista prima e da superficiale poi, che ha condannato a morte migliaia di persone. Wernek e Guevara Rosas ci ricordano che a a giugno scorso Amnesty, insieme ad altre organizzazioni della società civile, ha presentato uno studio che ha rivelato che il governo brasiliano avrebbe potuto prevenire 120mila morti, solo nel primo anno della pandemia, se avesse adottato le misure di sanità pubblica appropriate per combattere il COVID-19.
Al procuratore generale del Brasile, Augusto Aras, è stato sollecitato di aprire un’inchiesta sulle responsabilità del governo Bolsonaro, ma la magistratura “sembra paralizzata” e agisce in tal modo nei confronti di Bolsonaro. Questo nonostante la commissione parlamentare d’inchiesta del Senato federale (che opera già da cinque mesi) abbia già portato alla luce alcune situazioni che richiedono l’attenzione urgente del procuratore generale. Situazione che si ripete anche al parlamento, denuncia Amnesty, che agisce in complicità con l’amministrazione Bolsonaro nelle sue innumerevoli carenze nella gestione della pandemia: ci sono infatti più di 120 richieste inevase di impeachment di Bolsonaro sul tavolo di Arthur Lira, presidente della Camera dei deputati.
Un quadro generale desolante e sconcertante, che ci aiuta a dipingere un piccolo e veloce ritratto di Jair Messias Bolsonaro, nuovo cittadino onorario di Anguillara Veneta.