Secondo un'analisi dell'Osservatorio conti pubblici diretto da Cottarelli, 661 parlamentari su 945 - quasi il 70% degli eletti - perderanno la pensione se si dovesse andare a votare prima dal 24 settembre del 2022. Ecco perché l'elezione del prossimo presidente della Repubblica non è mai stata così tanto influenzata dalla paura per il voto. Se però si materializzasse l'ipotesi di un nuovo esecutivo che eviti il ritorno anticipato alle urne - come auspicato da Conte, Letta e pure Salvini - l'elezione dell'attuale premier sarebbe cosa fatta
Predicano tutti calma e gesso. L’elezione del successore di Sergio Mattarella? Non parliamone adesso. La pensa così Enrico Letta, che qualche tempo fa aveva addirittura fatto un appello “a tutti i leader politici e a tutti colleghi che sono in politica per una moratoria sul Quirinale: se ne parli il prossimo anno, a gennaio“. Matteo Salvini ha spostato il termine della discussione addirittura “a febbraio, per ora non dico nulla”. Tutti muti pure in Forza Italia, visto che Silvio Berlusconi continua a coltivare per se stesso il sogno proibito di un’elezione che solo fino qualche mese fa sarebbe sembrata impossibile. Tra i 5 stelle, invece, ha un po’ sparigliato le carte la recente apertura di Giuseppe Conte a Mario Draghi.
L’ipotesi Draghi (se c’è un altro governo) – In mancanza di altre strategie credibili – a parte il sogno dell’uomo di Arcore, che è appunto incredibile – quello dell’attuale presidente del consiglio rimane ancora oggi uno dei profili favoriti per trovare un identikit al tredicesimo presidente della Repubblica. Ma ha una gigantesca controindicazione: il ritorno alle urne. Negli ultimi mesi, infatti, era diventata opinione comune che il trasloco da Palazzo Chigi al Quirinale del premier avrebbe fatto venire meno l’esistenza del governo in carica. E quindi, essendo impossibile trovare una nuova maggioranza – sarebbe la quarta di questa tribolata legislatura – il voto anticipato in primavera sarebbe stata una conseguenza naturale. Ecco perché quando domenica Conte ha aperto all’entrata di Draghi al Colle si è subito affrettato ad assicurare che tale ipotesi non significherebbe un automatico ritorno alle urne. D’altra parte pure Letta ha dichiarato che mandare Draghi al Quirinale per poi andare al voto “non è l’interesse dell’Italia“. E mandare Draghi al Quirinale senza poi andare al voto? Magari mantenendo in vita lo stesso governo tecnico attualmente in carica, con Daniele Franco che si trasferisce dal ministero dell’Economia a Palazzo Chigi. Uno scenario che farebbe comodo anche alla Lega: il Carroccio potrebbe pure ipotizzare un ritorno all’opposizione, provando a recuperare il consenso perso negli ultimi mesi a favore di Fratelli d’Italia. Non è un caso, dunque, che a escludere le elezioni anticipate in ogni scenario sia ora uno che la ha invocate lungamente, come Salvini. “Se mi chiedono se Draghi sarebbe un buon presidente della Repubblica, rispondo che lo voterei domattina – ha confidato nell’ultimo libro di Bruno Vespa – Draghi è certamente una risorsa per il Paese, ma non so se voglia andarci. Anche se ci andasse, non credo che ci sarebbero le elezioni anticipate“. Persino dentro Fratelli d’Italia, l’unico partito che beneficerebbe del voto anticipato, Ignazio La Russa riconosce che con Draghi al Colle sono “molto più probabili le elezioni anticipate, ma sarebbero appunto più probabili, non certe. Non puoi fare un patto davanti al notaio”.
Perché non bisogna tornare alle urne – E visto che un patto dal notaio non si può fare, la corsa al Quirinale continua ad essere pesantemente influenzata dalla paura per il voto. Ecco perché l’elezione di Draghi è legata all’esistenza di un esecutivo che, dopo il suo trasloco al Quirinale, conduca la legislatura fino alla sua scadenza naturale. Anche un po’ prima. La stragrande maggioranza dei parlamentari in carica, infatti, ha una data cerchiata in rosso in agenda: il 24 settembre del 2022. Quel giorno gran parte dei deputati e dei senatori otterranno il diritto alla pensione. A farlo notare è un’analisi dell’Osservatorio conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano, diretto da Carlo Cottarelli. Come è noto, infatti, dal 2012 il vitalizio dei parlamentari è stato sostituito con un trattamento pensionistico, erogato a partire dai 65 anni di età (ma può arrivare anche a 60). Per accedere all’assegno, però, deputati e senatori devono aver passato in Parlamento almeno una legislatura completa di 5 anni. Per calcolare i contributi versati viene usato un sistema semestrale: quindi per ottenere la pensione è sufficiente che durante una legislatura si rimanga in carica per quattro anni, sei mesi e un giorno. Questo termine, per tutti i parlamentari che il 4 marzo del 2018 sono stati eletti per la prima volta, scatta appunto il 24 settembre.
La data X: settembre 2022 – Ad attendere quella data sono in tanti: secondo i calcoli dell’Osservatorio di Cottarelli tra i neoletti si contano 446 deputati e 244 senatori: rispettivamente il 71 e il 76 per cento della rappresentanza di Montecitorio e Palazzo Madama. Di questi in tre sono subentrati alla Camera nei primi sei mesi della legislatura, e dunque potrebbero maturare la pensione se la legislatura finisse dopo il fatidico 24 settembre. Ci sono poi 19 deputati entrati in carica dopo i primi sei mesi, che quindi perderanno il diritto all’assegno anche se le Camere dovessero concludere naturalmente il loro mandato nel 2023. Simile la situazione al Senato, dove in 11 sono subentrati dopo l’inizio della legislatura, ma solo uno nei primi sei mesi. Tradotto significa che 427 deputati e 234 senatori, per un totale di 661 parlamentari su 945 – quasi il 70% degli eletti – perderanno la pensione se si dovesse andare a votare prima dell’autunno prossimo. Un numero sufficiente ad eleggere un presidente della Repubblica. Anche perché, fa notare sempre l’Osservatorio di Cottarelli, perdere il diritto alla pensione vuol dire vedere andare in fumo i contributi versati: per un parlamentare che ha fatto quattro anni e mezzo di mandato vuol dire circa 50mila euro.
Chi attende la pensione – A livello politico il gruppo parlamentare che rischia maggiormente l’assegno è quello della Lega: sempre secondo l’Osservatorio della Cattolica, nel partito di Salvini maturano il diritto alla pensione a partire dal 24 settembre dell’anno prossimo 116 deputati su 133 (pari all’87%) e 53 senatori su 64 (l’83%): forse ora si capisce perché il leader del Carroccio intende parlare di Quirinale solo a febbraio e pure nel caso di elezione di Draghi non crede a un ritorno anticipato alle urne. Va bene che rispetto al risultato del 2018 la Lega oggi ha guadagnato qualche punto percentuale, ma non va dimenticato che per effetto del referendum sul taglio dei parlamentari alla prossima legislatura a tornare alla Camera e al Senato saranno solo 600 eletti degli attuali 945: qualcuno, oltre alla pensione, perderà anche il posto. Non ha di questi problemi Giorgia Meloni: il boom di Fratelli d’Italia nei sondaggi assicura un aumento dei seggi e quindi dovrebbe tranquillizzare l’80% degli eletti che rischiano la pensione in caso di voto anticipato. Fdi, però, ha un peso relativo nell’attuale Parlamento.
La maggioranza silenziosa – Problema opposto nel Movimento 5 stelle: il partito che ha ideato e promosso la riforma tagliapoltrone sarà probabilmente anche quello che ne pagherà le maggiori conseguenze, a causa anche di una perdita di consenso. In più tra i 5 stelle i parlamentari che matureranno il diritto alla pensione a settembre sono la stragrande maggioranza: 111 deputati su 159 (il 70%) e 60 senatori su 74 (l’81%). Ecco perché Conte, quando ha aperto a Draghi, ha auspicato una prolungamento della legislatura fino alla sua naturale scadenza. “Dobbiamo spingere al 6% di Pil, dobbiamo continuare ad attuare il Pnrr e l’avvio iniziale è fondamentale: in tutto questo, pensare di eleggere un presidente e un attimo dopo andare a votare, chiunque sia, non è nell’ordine delle cose”, è l’agenda dettata dal presidente dei 5 stelle. Uno scenario osservato attentamente da 47 deputati (il 61% del totale ) e 34 senatori (il 68) di Forza Italia che matureranno la pensione il 24 settembre e sono praticamente certi di non rientrare in Parlamento al prossimo giro: un po’ per il taglio dei parlamentari, ma soprattutto perché il partito di Berlusconi ha dimezzato i suoi voti. Valutano in religioso silenzio anche tantissimi altri peones alla prima e ultima legislatura. Attendono settembre per maturare la pensione, infatti, 21 deputati su 24 di Coraggio Italia, 14 su 27 (il 52%) d’Italia viva, 4 su 12 di Leu. Problema minore per il Pd, dove sono alla prima legislatura solo 36 deputati su 95 (38%) e 25 senatori su 38 (il 66%). Poi c’è il gruppo Misto: tra Montecitorio e Palazzo Madama conta 77 parlamentari che attendono impazienti l’autunno prossimo. Ecco chi sono quelli che hanno paura del voto anticipato: una maggioranza trasversale, che blocca ogni ragionamento sul Colle. Ma che d’altra parte sarebbe largamente sufficiente ad eleggere un presidente della Repubblica, persino al primo turno. Basta che prima di sciogliere le Camere aspetti il settembre dell’anno prossimo.