“Sapete come si dice a Roma? ‘Abbasta’. È una citazione che prendo volentieri in prestito dal mio amico Carlo Verdone. La nuova pista da bob si farà e sarà un fiore all’occhiello per questa disciplina visto che finora siamo sempre stati costretti a emigrare per poter fare una gara di primo livello”. Così si è espresso di recente Giovanni Malagò, presidente del Coni, a proposito della pista da bob di Cortina.

Per la carità, nulla di nuovo può provenire dalla bocca di chi da sempre sostiene l’utilità delle grandi manifestazioni. Gli andò male con le olimpiadi a Roma una “decisione suicida e autolesionista” – la definì – gli è andata bene per quelle invernali a Cortina (e Milano). La nuova pista da bob costerà tantissimo per la costruzione (almeno 60 milioni di euro); tantissimo per la gestione (quella vecchia, la Eugenio Monti, costa 330mila euro all’anno); infliggerà una nuova ferita ambientale e territoriale a quella che ormai può essere considerata la ex perla delle Dolomiti, ma soprattutto le gare potrebbero svolgersi altrove.

Come ricorda Mountain Wilderness: “Anche l’Olympic Agenda 2020 del CIO, nel definire i criteri della sostenibilità per le Olimpiadi moderne, raccomanda di evitare la costruzione di nuove strutture che poi non sarebbero utilizzate, aprendo alla possibilità di rivolgersi in zone fuori area (raccomandazione n. 2.1-2).”

La scelta è talmente suicida, insensata, che la stessa popolazione di Cortina è contraria: il sondaggio on-line del giornale Voci di Cortina riporta che il 70% dei cortinesi partecipanti al sondaggio la vorrebbe realizzata altrove.

E del resto, come se non bastasse, c’è l’esempio della pista che fu realizzata a Cesana per le olimpiadi invernali di Torino, che poteva essere addirittura realizzata amovibile, ovvero le gare potevano svolgersi in altra località e invece si insistette per realizzare il nuovo manufatto: l’ennesima ferita alla montagna e l’ennesimo bagno di sangue per le casse pubbliche. Ora, si può capire che si vogliano fare regali all’Ance, ma dovrebbe esserci un limite a tutto. Invece pare proprio di no. Ogni occasione è buona per ferire Madre Terra e far girare l’economia sbagliata, ridipinta ovviamente di verde.

Ma devo dire che in tutta questa vicenda quello che personalmente mi disturba di più è il fatto che il deus ex machina sia proprio questa persona, questo Giovanni Malagò, al suo terzo mandato come presidente del Coni. Mi procura un certo fastidio che quest’uomo possa avere tutto questo ius vitae necisque potestas. Da Wikipedia: “Per aver comprato tre esami universitari (Diritto Privato, Economia politica 2 e Diritto Commerciale) con l’aiuto di un bidello che falsificava le firme dei docenti con cui li avrebbe sostenuti, nel 1993 viene condannato in primo grado a un anno e 10 mesi, ma nel 1999 viene prescritto”. E pure proprietario di una mega villa (“Le Nanine”) in pieno Parco Nazionale del Circeo, alla quale ha apportato svariati ampliamenti abusivi. Se ne contano ben nove che ha tentato di sanare, per il momento senza riuscirci.

Niente di strano, voi direte, l’Italia è il paese degli abusi edilizi. Sì, però peccato che lui sia dal 2002 anche membro della Consulta Regionale del Fai, Fondo Ambiente Italiano (sempre da Wikipedia). Ma in fondo, che ci vogliamo fare: Malagò rappresenta l’Italia, come Draghi, come gli altri che detengono il potere. Del resto, ad aprile, alla scadenza del suo secondo mandato disse: “Mi ricandido perché il mondo che rappresento me lo chiede.” Non è solo il mondo dello sport che lui rappresenta, è ben altro. In fondo è appunto l’Italia.

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