Nessuna violazione della legge marziale, ma solo “errori di esecuzione”. È questo il risultato dell’inchiesta interna condotta dal Dipartimento della Difesa americano riguardo al raid con drone effettuato a Kabul, in Afghanistan, il 29 agosto scorso e che ha provocato la morte di 10 civili, tra cui 6 bambini. In quell’occasione, il Pentagono fece sapere che l’attacco, avvenuto a poche ore di distanza dall’attentato Isis all’aeroporto della capitale afghana, aveva neutralizzato un commando dello Stato Islamico che voleva di nuovo colpire lo scalo dal quale, in quei giorni, stavano partendo cittadini afghani e stranieri, personale diplomatico e militare che stavano evacuando il Paese. La verità, emersa successivamente, è che su quell’auto non viaggiava alcun terrorista, ma solo una famiglia innocente.

La Difesa Usa, per bocca del generale Sami Said, ispettore generale dell’Air Force, scarica sul particolare stato emergenziale in cui si trovavano in quei giorni il Paese e le forze militari straniere, dovuto anche all’intensificazione degli attacchi Isis e a un’interruzione delle comunicazioni che ha impedito ai militari di svolgere le necessarie verifiche sul veicolo nei minuti che hanno preceduto il bombardamento, le responsabilità di ciò che è successo.

Le forze americane rimaste sul terreno erano nell’aeroporto, ricorda Said, e l’intelligence pensava che altri attacchi fossero imminenti. Per questo il raid, che ha definito “di autodifesa”, è stato gestito in modo diverso dalle solite operazioni antiterrorismo, in cui viene monitorato anche per giorni un potenziale target. Gli analisti militari hanno avuto poco tempo per valutare i materiali d’intelligence a disposizione che indicavano l’auto, una Toyota Corolla bianca che viaggiava nei pressi dell’aeroporto, come un pericolo. Nello specifico, ha spiegato, non era stato possibile monitorare e seguire il mezzo e i suoi occupanti nei giorni precedenti alla decisione di bombardarlo, come viene fatto invece solitamente quando i militari si apprestano a svolgere operazioni di antiterrorismo. Per fare un esempio, anche nel caso della famosa operazione di Abbottabad, in Pakistan, nella quale venne ucciso il capo di al-Qaeda, Osama bin Laden, l’intelligence monitorò a lungo l’edificio per stabilire con una percentuale d’errore ritenuta accettabile che all’interno si nascondesse il fondatore de La Base, oltre a verificare anche la presenza di bambini nella struttura e permettendo così ai Navy Seal del Team Six di operare con questa consapevolezza.

In questo caso, invece, si è deciso di agire pur non essendo in possesso di queste informazioni preliminari, ha ammesso Said. A questo si è aggiunto un problema tecnico: nel corso del monitoraggio che ha preceduto l’attacco, sono state interrotte le comunicazioni che hanno impedito di poter continuare a vedere il veicolo che era stato localizzato in un posto associato allo Stato Islamico nella provincia del Khorasan. Quando le comunicazioni sono riprese, ha poi aggiunto il generale, mancavano appena due minuti al lancio del razzo e si è optato per l’autorizzazione. In quell’arco ristretto di tempo, però, secondo le immagini e per lo stesso Said, era evidente la presenza di almeno un bambino, anche se “non era al 100% ovvio”, ha detto il generale. Nella fretta dell’azione, ha aggiunto, gli operatori non hanno analizzato a fondo le immagini: “Noi abbiamo avuto tutto il tempo di farlo durante l’inchiesta”, ha detto ancora giustificando il team responsabile del raid. Arrivando alla conclusione che sulla base delle informazioni a disposizione, “in un’operazione complicata in uno scenario complicato”, è stato deciso in modo non arbitrario o negligente che l’auto costituisse una minaccia. “Non è stata una decisione irragionevole, solo non corretta”, ha affermato ancora Said. Costata dieci vite di civili innocenti.

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