La top model statunitense tra le più pagate al mondo, seguita da decine di milioni di follower sui social, all’apice del successo già a 21 anni quando girò il videoclip – poi materia di scandalo - Blurred Lines di Robin Thicke, e oggi neomamma, si racconta al Corriere in vista dell’uscita della sua autobiografia in Italia, Nel mio corpo, edita da Piemme
Emily Ratajkowski e il suo corpo. La top model statunitense tra le più pagate al mondo, seguita da decine di milioni di follower sui social, all’apice del successo già a 21 anni quando girò il videoclip – poi materia di scandalo – Blurred Lines di Robin Thicke, e oggi neomamma, si racconta al Corriere in vista dell’uscita della sua autobiografia in Italia, Nel mio corpo, edita da Piemme. Ratajkowski spiega al quotidiano milanese il rapporto che ha con il proprio corpo, ma soprattutto come questo sia stato l’oggetto su cui una visione maschile dell’erotismo e della sessualità, e come abbia sguazzato incrementando profitti su profitti. Il ricordo della top model va subito all’adolescenza quando era la madre ad invitarla a fregarsene di cosa pensasse la gente, quindi a mostrarsi vestita come voleva in pubblico. L’abito aderente azzurro indossato a 13 anni giudicato “stupendo” dalla madre poi scandaloso dalla scuola dove andò per il ballo di fine anno rimane un episodio significativo sulla difficoltà di essere materia di scandalo per il semplice motivo di esistere.
“Da giovanissima, tante volte ho provato vergogna per le reazioni che suscitava il mio fisico e ho maturato un senso di sfida: nessuno poteva dirmi cosa potevo fare e cosa no. Quando ho iniziato a fare la modella, a guadagnare con la mia bellezza, mi sembrava una forma di empowerment, ma naturalmente la situazione era più complessa di come pensavo”. Ratajkowski infatti delinea quella che poi diventerà il leit motiv di una carriera: emanciparsi economicamente ma sentirsi sfruttata. “Ho guadagnato più di quanto mia madre e mio padre, insegnanti di disegno, potessero sognare in una vita. Ma la verità è che mi sono sentita sfruttata e sminuita. Nei giorni buoni, quando mi sentivo giudicata solo come un bel sedere, riuscivo a liquidare quegli sguardi come sessisti. Nei giorni bui, detestavo me stessa e ogni decisione presa mi sembrava un errore clamoroso”.
La top model ragiona attorno alla doppiezza estetica di quel corpo venduto per essere ambito, sognato e posseduto. “A vent’anni, non capivo che le donne che traggono potere dalla bellezza devono quel potere agli uomini di cui suscitano il desiderio. Sono loro a esercitare il controllo, non noi. Oggi mi chiedo: ho autonomia, ma posso chiamarla emancipazione? Se ripenso ad alcuni episodi, provo vergogna per come mi è capitato di presentarmi, pensavo di essere provocatoria verso il sistema, ma non comprendevo appieno le dinamiche di potere. Però non ho rimpianti, devo fare qualche concessione alla ragazzina che ero”. L’interprete di Gone Girl con Ben Affleck ricorda, infine, che la ricerca di vincere provini fotografici era “un bisogno così disperato di approvazione” da essere disposti “ad accettare anche la mancanza di rispetto”: “Pensi solo che tutto il mondo ti dice che devi essere bella e che se sei bella hai potere, e non sai che quel potere non è tuo”.