Gianni Dragoni partiamo dalla fine. I Benetton se ne vanno da Autostrade portando a casa più di 2 miliardi di euro di euro. Non solo, la nuova proprietà (Cassa depositi e prestiti insieme ai fondi Blackstone e Macquaire) si carica verosimilmente anche i costi necessari per mettere in sicurezza la rete, stimati in circa 20 miliardi di euro. Non male se si considera che inizialmente si era ipotizzata la revoca della concessione…
Assolutamente e lo dimostra anche il fatto che dopo l’accordo con Cdp i Benetton hanno investito altri 100 milioni di euro in Atlantia (società quotata che possiede l’88% di Autostrade ed è controllata dai Benetton, ndr) portando la loro quota dal 30 al 31%. Alla fine alla famiglia veneta finiranno circa 2,5 miliardi di euro. Ci sono da conteggiare anche 200 milioni di euro di interessi maturati in attesa che si perfezioni la cessione. È stato calcolato che nell’ipotetico caso di revoca Autostrade si sarebbe trovata senza ricavi ma con i debiti che avrebbero dovuto essere ripagati. I Benetton avrebbero dovuto sborsare circa 471 milioni di euro. Rispetto a questo scenario che non si è verificato la famiglia veneta esce con un surplus di quasi 3 miliardi di euro.
Nel libro ricordi come “la gallina dalle uova d’oro” abbia garantito in oltre vent’anni sontuosi guadagni ai suoi amministratori e ai suoi azionisti. Castellucci, amministratore delegato del gruppo dal 2005 al 2019, e dunque in carica al momento del crollo del ponte Morandi, ha guadagnato 62 milioni di euro che potrebbero salire ad oltre 86 milioni se riuscisse a incassare buonuscite e stock options. Il presidente Fabio Cerchiai quasi 14 milioni di euro. Ma sono briciole rispetto a quello che hanno incassato i Benetton….
Se si tiene conto di tutte le voci si può stimare in circa 5 miliardi di euro e mezzo quello che la famiglia di Ponzano Veneto ha “spremuto” da Autostrade dalla privatizzazione ad oggi. Ci sono i dividendi che valgono più di 3 miliardi ma poi c’è anche l’attribuzione delle riserve come sovrapprezzo delle azioni che ha fruttato al socio principale altri 2 miliardi.
Dove paga le tasse la famiglia Benetton?
Adesso in Italia. La holding Sintonia è stata però a lungo domiciliata in Lussemburgo. Poi, nel 2012, la sede viene improvvisamente spostata a Milano. La spiegazione della società è che il Lussemburgo era stato scelto per attrarre investitori esteri che però, complice la crisi del 2008, non sono arrivati. Quello che si sa è che l’Agenzia delle Entrate aveva mosso delle accuse di esterovestizione relativamente al 2001-2011. La vicenda si chiude con un patteggiamento e il pagamento all’Erario di 12 milioni di euro. Una cifra ben al di sotto delle contestazioni iniziali. È interessante notare che a guidare l’Agenzia delle Entrate c’era Attilio Befera che nel 2016 riceve un incarico in Atlantia dove è tuttora coordinatore dell’organo di vigilanza del gruppo.
La “sacra famiglia” di Ponzano Veneto è diventata tale anche, forse soprattutto, perché è stata aiutata, e ha saputo farsi aiutare da tanti “amici”. Da Giancarlo Elia Valori a Corrado Passera, da Chicco Testa a Fabrizio Palenzona, da Enrico Letta a Sabino Cassese. Cassese è stato consigliere di Autostrade dal 2000 al 2005 incassando compensi per circa 700mila euro. Quattro giorni dopo il crollo del ponte di Genova il giurista scrive un editoriale sul Corriere della Sera in cui, tu scrivi, “la butta in caciara”…..
Cassese toglie dal tavolo la questione delle possibili responsabilità della società nella carenza di manutenzione che emergerà poi chiaramente da indagini e intercettazioni. Nel suo editoriale parla dei massimi sistemi, dell’Italia come “paese che fa e disfa” citando i casi dell’ex Ilva, della Tav e del gasdotto Tap. Il giurista scrive che mancano i presupposti per la revoca e che lo Stato, dopo la privatizzazione, non è più in grado di gestire una società autostradale. Una valutazione che Cassese non ha ripetuto dopo la cessione a Cassa depositi e prestiti e quindi allo Stato.
Un nome che ricorre in molte delle vicende finanziarie italiane è Fabrizio Palenzona che, naturalmente, compare anche in questo caso. Con che ruolo?
Palenzona è soprannominato il signor mille poltrone ed è il campione nazionale di quel capitalismo di relazione che spadroneggia in Italia. Era presidente della provincia di Alessandria e da lì “dominus” della Cassa di risparmio di Torino che ha partecipato con i Benetton alla privatizzazione di Autostrade. È stato vicepresidente di Unicredit, altro soggetto bancario che è stato protagonista dell’operazione. Ed è stato a lungo presidente di Aiscat (l’associazione dei concessionari autostradali) e di Assaeroporti e in questi ruoli ha aiutato i Benetton a gestire i rapporti con la politiche e ad ottenere sostanziosi aumenti delle tariffe.
Nel 2016, in sordina, Enrico Letta entra nel consiglio di amministrazione di Abertis, le autostrade spagnole. Un anno più tardi Atlantia lancia un’ offerta pubblica di acquisto sulla società, l’operazione si concluderà con un accordo con gli spagnoli capitanati da Florentino Perez, imprenditore e patron del Real Madrid ma di fatto Atlantia ha il controllo. Letta a quel punto si dimette…
Sì, ed è possibile che Abertis, che prima dell’Opa aveva piani autonomi di espansione in Italia avesse interesse ad avere personalità importanti legati alla politica italiana nel board. Non è una carica in cui i Benetton sembrano aver avuto un ruolo. Certo è che le società della famiglia veneta hanno finanziato a lungo “VeDrò”, l’ex associazione dell’attuale segretario del Pd. Una dei sottosegretari del governo Letta è stata Simonetta Giordani che veniva da Autostrade e qui tornerà dopo la sua esperienza politica ed è attraverso di lei che arrivano i finanziamenti a VeDrò, in sostanza pagati dai pedaggi degli italiani. A fine 2013 il governo Letta vara un aumento delle tariffe autostradali che risulta piuttosto generoso. In media i rincari sono del 3,9% ma per i pedaggi delle tratte di Autostrade per l’Italia l’aumento è del 4,4%.
Chi è Gianni Mion?
È il manager che per trent’anni ha seguito il gruppo Benetton. Il suo delfino Carlo Bertazzo è oggi amministratore delegato di Autostrade. Mion ha pilotato la trasformazione da società industriale a grande gruppo dei servizi protagonista delle privatizzazioni. Senza di lui, forse, i Benetton sarebbero rimasti a fare maglioni.
Quella che racconti nel tuo libro è la storia della creazione di un’immensa ricchezza che avviene in un quadro di povertà umana. La sera del 14 agosto 2018, a poche ore dal crollo del ponte Morandi con le sue 43 vittime, la famiglia Benetton è riunita nella sua villa di Cortina dove, secondo alcune ricostruzioni di stampa, non rinuncia alla tradizionale festa. Si balla sui tavoli, musica alta, si beve fino a notte. Il giorno dopo ci si ritrova in giardino per una grigliata. A fine 2019 il presidente di Autostrade Fabio Cerchiai deve andare in vacanza e ha paura perché sul tragitto “ci sono tante gallerie”. Al telefono scherza sulla sicurezza delle strade con Gianni Mion che gli consiglia di prendere l’aereo. Lo stesso Mion parla dei Benetton sottolineandone l’ “impreparazione assoluta nella prima come nella seconda generazione”. Gilberto Benetton afferma “In famiglia sono quello che ha studiato di più. E ho smesso a 14 anni”. Viene spontaneo chiedersi…come è possibile che sia diventata una delle quattro o cinque famiglie più importanti dell’imprenditoria italiana?
Nella prima fase c’è stata una capacità imprenditoriale. I fratelli Benetton vengono da una famiglia povera, sono stati imprenditori di prima generazione. Hanno rischiato e avevano nel loro dna quell’operosità diffusa nel Nord Est. Il gruppo si è però via via trasformato in un impero della rendita e delle relazioni. Nel libro cerco di spiegare come sia stato possibile e come sia accaduto.