La Suprema Corte ha annullato le pesantissime condanne emesse nel luglio 2019 dalla Corte d’Appello di Reggio, che aveva inflitto 23 anni e 6 mesi di reclusione a Giovanni Fontana, ritenuto il boss dell’omonima famiglia di Archi schierata, durante la seconda guerra di mafia, con il gruppo dei condelliani
Sei imputati, sei assoluzioni. La Cassazione ha messo la parola fine al processo “Leonia”, nato da un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia sulle presunte infiltrazioni della ‘ndrangheta nella società mista che si occupava della raccolta dei rifiuti solidi urbani nella città di Reggio Calabria.
Con la sentenza di ieri sera, la Suprema Corte ha annullato le pesantissime condanne emesse nel luglio 2019 dalla Corte d’Appello di Reggio, che aveva inflitto 23 anni e 6 mesi di reclusione a Giovanni Fontana, ritenuto il boss dell’omonima famiglia di Archi schierata, durante la seconda guerra di mafia, con il gruppo dei condelliani. Pagato il suo debito con la giustizia, Giovanni Fontana nel 2012 era da poco ritornato in libertà quando è stato arrestato di nuovo nell’operazione “Leonia” assieme ai figli Giandomenico, Francesco, Giuseppe Carmelo e Antonino.
Tutti erano stati condannati nel processo d’Appello a pene che vanno dagli 11 anni e 6 mesi ai 16 anni e 6 mesi di carcere. Tutti, adesso, sono stati assolti dalla Corte di Cassazione che ha annullato senza rinvio la sentenza di secondo grado.
È stata annullata senza rinvio anche la condanna per Bruno De Caria, l’ex direttore della Leonia accusato di aver favorito l’infiltrazione della ‘ndrangheta nella società mista. Accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta e di aver consentito alle cosche di mettere le mani sulla Leonia, nei confronti di De Caria ha retto solo un’accusa di peculato per la quale la Corte d’Appello di Reggio Calabria dovrà rideterminare la pena.
La famiglia Fontana era titolare della società Semac alla quale era stata affidata la manutenzione dei mezzi della Leonia. Stando all’inchiesta, questo avrebbe garantito alla ‘ndrangheta un costante flusso di denaro che, per i collaboratori di giustizia, era rappresentava un “fondo cassa” a disposizione delle cosche reggine. Una sorta di “rimessa di denaro contante” proveniente dall’acquisto sovra stimato di pezzi di ricambio e componenti meccanici dei mezzi utilizzati nel “Comparto rifiuti” che, attraverso un sistema di fatture gonfiate, venivano sostituiti dalla Semac con assoluta facilità e senza una preventiva autorizzazione della Leonia, registrando altissimi costi aziendali.
Per gli inquirenti, infatti, i Fontana avrebbero esercitato un pervasivo potere di condizionamento e controllo di tipo mafioso sul “Comparto Ambientale” o “Comparto rifiuti” di Reggio Calabria. Questa tesi però non ha convinto la Corte di Cassazione che, al termine dell’udienza di ieri, ha assolto Giovanni Fontana dopo che quest’ultimo ha scontato 9 anni di carcere. È stato ha accolto, quindi, il ricorso presentato dagli avvocati Francesco Calabrese, Natale Carbone, Manlio Morcella, Bruno Poggio, Pasquale Maraguccio, Vincenzo Gennaro, Salvatore Morabito e Raffaele Manduca. Adesso si attendono le motivazioni.