Incertezze, false piste, clamore mediatico e tentativi di manipolazione politica. L’indagine per assicurare alla giustizia l’assassino della tredicenne Yara Gambirasio, scomparsa il 26 novembre 2010 a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, e ritrovata senza vita dopo tre mesi di complicate ricerche, è diventato un film in uscita su Netflix il 5 novembre. Yara, prodotto da Pietro Valsecchi e Camilla Nesbitt per Taodue, Netflix, RTI, è scritto da Graziano Diana e diretto da Marco Tullio Giordana, che firma un progetto totalmente inedito per lui dopo cult clamorosi come I cento passi e La meglio gioventù.
YARA, LA TRAMA E LE ANTICIPAZIONI DEL FILM DI NETFLIX
La protagonista attorno alla quale ruota il film è la PM Letizia Ruggeri, interpretata da Isabella Ragonese, chiamata a risolvere uno dei fatti di cronaca più drammatici che dieci anni fa sconvolse l’Italia. In mano il pubblico ministero aveva tanti indizi, pochissime certezze e un unico elemento sicuro: il DNA dell’assassino ritrovato sugli indumenti della vittima. Nella riprovazione generale, la PM Ruggeri organizzò un impressionante screening di massa per raccogliere il maggior numero di campioni da confrontare col DNA repertato. Il risultato? La più grande indagine genetica mai realizzata in Europa, fatta di insuccessi e colpi di scena che portarono all’arresto del muratore Massimo Bossetti, interpretato nel film da Roberto Zibetti. Nonostante la condanna all’ergastolo sancita nei tre gradi di giudizio, l’uomo si proclama ancora oggi del tutto innocente.
MARCO TULLIO GIORDANA E L’AVVERSIONE PE RIL VOYEURISMO
Il film non è la ricostruzione dell’omicidio di Yara Gambirasio ma dell’«indagine che ha portato a trovare prima il profilo genetico dell’assassino, chiamato Ignoto 1, e poi l’inchiesta a tappeto con l’individuazione di Massimo Bossetti», racconta al Corriere della Sera il regista Marco Tullio Giordana. Che ha scelto un approccio preciso: leggere tutte le carte, prepararsi in maniera meticolosa, fornire allo spettatore una lettura di una vicenda complessa e dolorosa ma evitando «il voyeurismo, implicito nei casi giudiziari».
ISABELLA RAGONESE, ALESSIO BONI E IL RESTO DEL CAST
Yara racconta dunque l’“ossessione” del PM che vuole trovare a tutti i costi il colpevole dell’omicidio. Ad interpretarla è Isabella Ragonese. «Mi ha lasciato senza parole la sua bravura», ha rivelato il produttore Pietro Valsecchi in una lunga intervista a FQMagazine. Yara è invece la giovanissima Chiara Bono, già vista in Don Matteo, Che Dio ci aiuti e nel docu film di Rai1 su Liliana Segre, Figli del destino. «Mi sono preoccupato che non fosse scossa, sono ruoli che spaventano. Ha talento, solarità, innocenza, voglia di vivere… Sono le caratteristiche che aveva Yara», rivela Giordana. Alessio Boni e Thomas Trabacchi sono rispettivamente il Colonnello Vitale e il Maresciallo Garro, due personaggi di finzione ma funzionali al racconto. Sandra Toffolati e Mario Pirrello interpretano la mamma e il papà di Yara, mentre Roberto Zibetti è Bossetti.
LE CRITICHE DEI LEGALI DELLA FAMIGLIA DI YARA (E LA RISPOSTA DI VALSECCHI)
Marco Tullio Giordana lo ha detto esplicitamente in un’intervista: «Non li ho visti i familiari di Yara, non voglio star lì a rievocare un dolore e una sofferenza che non finiscono mai». Ma alla vigilia del debutto del film su Netflix, arriva inaspettato il commento polemico dei Gambirasio. «La famiglia lo ha scoperto a cose fatte, solo dopo hanno fatto una telefonata a me, ma a film già confezionato. Il film non l’ho neanche visto. I Gambirasio non hanno rilasciato alcuna dichiarazione, non lo fanno in altre circostanze figuriamoci in una situazione del genere», ha fatto sapere via FanPage Andrea Pezzotta, l’avvocato dei Gambirasio. Opposta però la versione del produttore Pietro Valsecchi: «Come ho sempre fatto quando ho scelto di raccontare storie ispirate a fatti e personaggi reali, ho chiamato l’avvocato quando ancora stavamo scrivendo il film. In quell’occasione rispose che la famiglia Gambirasio non intendeva essere coinvolta e ovviamente ho rispettato questa decisione. A fine montaggio l’abbiamo richiamato nel caso avessero cambiato idea, ma la risposta è stata la stessa». Anche il legale di Massimo Bossetti, Claudio Salvagni, non ha gradito: «Non siamo stati consultati dal regista, un errore viste le mancanze del film, ci sono gravi inesattezze». Pronta anche in questo caso la replica di Valsecchi: «Il film si è basato su una scrupolosa lettura delle carte processuali e della documentazione di quanto è accaduto. Ho il massimo rispetto per la difesa, ma non so proprio cosa avrebbe potuto dirci di più l’avvocato Salvagni».