Nel ddl concorrenza il problema della proroga in violazione della direttiva Bolkestein non viene affrontato: tutto rimandato a dopo la messa a punto di un sistema informativo su concessionari e canoni pagati. Ma ci vorranno sei mesi solo per istituirlo. E l'Italia è già stata messa in mora. In aprile il tema è stato oggetto di trattative last minute prima della presentazione ufficiale del Recovery plan a Bruxelles
Il giorno dopo il consiglio dei ministri che ha varato un ddl concorrenza “dimezzato”, in cui non si affronta il nodo delle concessioni balneari prorogate fino al 2033 in violazione della direttiva Bolkestein, Bruxelles si fa sentire. Una portavoce della Commissione europea ha spiegato che “è una prerogativa italiana decidere come procedere sulla riforma”, ma per la Ue è “importante che le autorità italiane mettano rapidamente in conformità la loro legislazione, e le loro pratiche relative alle attribuzioni delle concessioni balneari, con il diritto europeo e la giurisprudenza della Corte di Giustizia“. Richiamo inevitabile, considerato che il sistema italiano è nel mirino dal 2009, che nel 2016 l’Italia è stata condannata per il mancato rispetto delle norme Ue e che due anni dopo il governo Conte 1 ha ulteriormente prorogato le autorizzazioni vigenti fino al 2033. Non solo: lo scorso aprile il tema è stato tra quelli che hanno ritardato la presentazione ufficiale del Recovery plan. Perché nel piano le spiagge non sono mai nominate. Per risolvere l’impasse è servito l’intervento di Mario Draghi in persona, che si è fatto garante con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
Lo stesso premier a giugno, incontrando von der Leyen a Cinecittà durante la cerimonia per l’ok della Ue al piano, aveva poi garantito che la legge sulla concorrenza – una delle “riforme abilitanti“, in cui avrebbe dovuto essere inserita anche la soluzione sui balneari – sarebbe stata presentata a luglio. Invece, tra la faticosa messa a punto estiva della riforma Cartabia e le elezioni amministrative di ottobre, il provvedimento è slittato di quattro mesi. E per non scontentare la Lega turbando gli equilibri della maggioranza si è deciso di rimandare le decisioni sulle spiagge a dopo la messa a punto di un “sistema informativo” che dovrà garantire trasparenza sui rapporti concessori e i relativi canoni pagati. Che sono per la stragrande maggioranza irrisori (nel 70% dei casi meno di 2.500 euro all’anno) soprattutto se confrontati con gli incassi dei gestori. Draghi lo ha rivendicato, sostenendo che è meglio procedere così piuttosto che promettere misure ambiziose impossibili da attuare in assenza del necessario consenso politico.
Ma quali saranno i tempi? Sei mesi per l’adozione del decreto legislativo che dovrà creare il sistema. Poi occorrerà riempirlo con i dati. Facile prevedere che la prossima estate sui litorali italiani trascorrerà tranquilla, senza che nulla cambi. Le associazioni dei balneari già ieri hanno festeggiato il risultato raggiunto e la Lega rivendica di averlo portato a casa: “E’ un atto di buonsenso a cui la Lega ha lavorato con dedizione ed ascolto delle categorie produttive coinvolte”, mettono nero su bianco i senatori leghisti della commissione Lavoro. “Spiace constatare che qualcuno perda tempo prezioso con una polemica sterile ed ideologica. La Lega ha ribadito, e ancora lo farà, che non è con i ricatti o le imposizioni che si affronta o si individua una equa soluzione per il comparto”.
Quanto alla presa di posizione della Ue, secondo il Carroccio “il nervosismo che traspare dai palazzi di Bruxelles non aiuta la distensione di una materia complessa, che il nostro Paese ha concorso a regolamentare con la legge 145 del 2018, la cosiddetta “legge Centinaio” e nel cui solco si continua ad operare. Ora avanti con un sostegno reale alle tante realtà produttive che stanno già programmando la prossima stagione, e che meriterebbero dall’Europa più vicinanza e meno lezioni“. Al coro si uniscono pure i forzisti Maurizio Gasparri e Paolo Barelli, secondo cui la Ue “continua ad accanirsi contro le nostre aziende e i lavoratori italiani cercando di imporre una direttiva che nulla ha a che vedere con le imprese turistiche e il commercio ambulante”. Peccato che l’Italia sia stata di nuovo messa in mora proprio perché lo scorso luglio “ha prorogato ulteriormente le autorizzazioni vigenti fino alla fine del 2033 e ha vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando il diritto dell’Unione”.
Di voci pro Bolkestein, va detto, non se ne registrano molte. Ieri a ricordare i “privilegi intoccabili” di stabilimenti come “il Twiga di Briatore e della Santanchè che pagano allo stato 17mila euro a fronte di un fatturato di 4 milioni di euro, oppure il Papeete che paga 10 mila euro anno ma fattura 3,2 milioni di euro” era stato il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli, mentre oggi il presidente della Commissione per le Politiche dell’Ue alla Camera Sergio Battelli (M5s) – il quale però nel 2018 aveva rivendicato la necessità di un lungo periodo transitorio prima di fare le gare – ha ricordato che “chi ha veramente a cuore i cittadini, le spiagge, i concessionari, i loro sacrifici e quelli di chi vorrebbe investire in questo settore e invece non può, dovrebbe essere seriamente preoccupato e furioso per l’ennesima deroga tanto grave da essere ormai quasi ridicola”.
Draghi a inizio ottobre, nell’annunciare che il governo stava “riflettendo” su come affrontare la questione, aveva evocato il Consiglio di Stato, che il 20 ottobre ha esaminato varie questioni legate alla possibilità per gli enti locali di disapplicare le proroghe. Ma il pronunciamento dell’organo di giustizia amministrativa non è ancora stato reso pubblico. Ora, dopo che Bruxelles ha fatto presente che il problema va risolto rapidamente, fonti di governo fanno sapere che la linea non è passare la ‘patata bollente’ al prossimo esecutivo bensì attendere la sentenza e, in base a quella, “calibrare l’intervento da attuare“. Si vedrà.