Lo hanno deciso le Sezioni unite. L'avvio di un nuovo percorso di vita però ha un peso. L'ex coniuge non può più pretendere la componente assistenziale dell'assegno, ma ha diritto alla liquidazione della componente compensativa, che verrà calcolata tenendo conto di diversi fattori
Una nuova convivenza non comporta di per sé la perdita automatica e integrale del diritto all’assegno di divorzio in favore del coniuge economicamente più debole. Lo hanno deciso le Sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 32198 pubblicata il 5 novembre. La scelta di avviare un nuovo percorso di vita, però, non è irrilevante: come conseguenza, l’ex coniuge non può più pretendere la componente assistenziale dell’assegno, ma ha diritto alla liquidazione della componente compensativa che verrà quantificata tenendo conto di diversi parametri. Fra questi, come spiega la Corte in una nota, la durata del matrimonio “purché provi il suo apporto alla realizzazione del patrimonio familiare” oppure “del patrimonio personale dell’ex coniuge, nonché le eventuali rinunce concordate ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio”.
La Corte segnala “come modalità più idonee di liquidazione dell’assegno limitato alla componente compensativa l’erogazione di esso per un periodo circoscritto di tempo, o la sua capitalizzazione, allo stato attuale possibili soltanto previo accordo delle parti, e valorizza l’importanza dell’attività propositiva e collaborativa del giudice, degli avvocati e dei mediatori familiari per raggiungere la soluzione più rispondente agli interessi delle persone”.
“In un settore della società di così veloce evoluzione e di così profonda incidenza sui diritti e sulla vita delle persone sarebbe stato auspicabile, ed è stato più volte invocato in dottrina, un intervento del legislatore per attualizzare e rendere maggiormente satisfattiva degli interessi coinvolti la disciplina normativa relativa alle ricadute patrimoniali della crisi coniugale“. Lo sottolinea la Cassazione nella motivazioni della sentenza. “In questa situazione, scrivono i giudici, si è lasciato alla giurisprudenza il difficile compito della interpretazione della normativa esistente”.
In Francia, ricorda la Suprema Corte, “l’articolo 283 del code civile prevede al primo comma che l’assegno di divorzio cessi in caso di nuove nozze, e al secondo comma che anche un concubinage notoire faccia cessare in pieno diritto la pretesa”, “in Spagna l’articolo 101 del codigo civil, al primo comma, dispone che il diritto all’assegno di divorzio si estingue per la contrazione di un nuovo matrimonio o a causa di una convivenza con altra persona”, in Germania il principio fondamentale “è quello della autoresponsabilità, per cui dopo il divorzio, ciascuno dei coniugi deve, salvo ipotesi particolari, farsi carico del proprio mantenimento”.
In Italia, ricorda la Cassazione, è in discussione in Parlamento, approvato in prima lettura alla Camera nel maggio 2019, un progetto di legge secondo il quale “L’assegno di divorzio non è dovuto nel caso di nuove nozze, di unione civile con altra persona o di una stabile convivenza ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 736, anche non registrata, del richiedente l’assegno. L’obbligo di corresponsione dell’assegno non sorge nuovamente a seguito di separazione o di scioglimento dell’unione civile o di cessazione dei rapporti di convivenza”. “Tuttavia, l’esistenza di tale previsione, – scrivono ancora i giudici – se comprova l’evoluzione del percorso normativa verso l’affievolimento dei legami precedenti alla costituzione di nuove formazioni sociali familiari”, depone allo stesso tempo “nel senso della necessità di un intervento normativo modificativo per arrivare alla perdita automatica del diritto, nell’ambito di un più ampio intervento normativo, che affronti e riequilibri altri aspetti della crisi coniugale e rafforzi la tutela dei conviventi”.