Cosa avrà mai detto il ministro Giancarlo Giorgetti da far emettere alti lai alla maggior parte dei commentatori e a tre quarti dei costituzionalisti? Che bisognerebbe introdurre un semipresidenzialismo de facto, trasformando il Draghi-presidente del consiglio in Draghi-presidente della Repubblica, un asso pigliatutto che continuerebbe a governare dal colle più alto, magari relegando un clone al ruolo di inquilino chigiano.

Embè? Giorgetti ha solo detto, un po’ per bombardare Matteo Salvini, un po’ perché ci crede davvero, ciò che tutti sanno, dal momento che è ciò che avviene ormai da dieci anni esatti a questa parte, a voler trascurare i precedenti. È infatti dal 2011 che siamo dentro la Terza Repubblica, ovvero un regime semipresidenziale di fatto in cui, lungi dall’essere quel re pescatore che regna ma non governa (posto che lo sia mai stato e sfatato il mito del presidente come di un semplice ‘notaio’), il Quirinale regna e governa. Dalla defenestrazione di Silvio Berlusconi in poi, dalla lettera di Jean-Claude Trichet e del suo successore in pectore Draghi in poi (che strana chiusura del cerchio!), è il presidente della repubblica a governare.

Non solo, secondo le prerogative concesse dalla Costituzione, egli nomina il presidente del Consiglio e su proposta di questo i ministri: egli sceglie politicamente il presidente del Consiglio, propizia le nuove maggioranze politico-parlamentari, si fa garante della politica italiana presso le istituzioni europee, a cui garantisce l’implementazione dei diktat comunitari o di quelli delle grandi istituzioni economico-finanziarie.

Ma facciamo un passo indietro: se la Prima Repubblica era il regno della partitocrazia e del parlamentarismo più ‘spinto’ – nel quale le elezioni designavano i parlamentari che, come dice la Costituzione, senza vincolo di mandato poi si accordavano in parlamento per costituire maggioranze delle quali il cittadino avrebbe potuto dare una valutazione ex post – la Seconda Repubblica è iniziata con il tentativo di affermare un sistema elettorale maggioritario, il bipolarismo e la sostanziale nomina diretta – non elezione – del presidente del Consiglio dei ministri.

Sia chiaro: a Costituzione invariata, cioè senza che la lettera della Carta sia mai stata toccata, com’è stato possibile? Perché, secondo alcuni costituzionalisti, fonti costituzionali non sono solo gli articoli della Costituzione, ma anche le cosiddette convenzioni costituzionali, un idem sentire della politica in grado di modificare l’assetto dei poteri, in quel caso (per la Seconda Repubblica) comprimendo il ruolo del presidente della Repubblica. Non ci ha mai creduto nessuno, nel senso che la tentazione proporzionalistica di tornare al parlamentarismo pieno – le maggioranze si fanno in parlamento dopo le elezioni, non prima – ha sempre umiliato il voto referendario e ha poi condotto a mostruose leggi elettorali di impianto proporzionale con abnormi correttivi maggioritari per garantire la fantomatica ‘governabilità’ (che però, in un regime parlamentare, occorrerebbe demandare alla tenuta delle maggioranze politiche).

La rottura della Seconda si è verificata quando il presidente della Repubblica, all’epoca della lettera di Trichet-Draghi, si è imposto su una politica debolissima in Parlamento e agli occhi del paese, creando – non che prima non fosse accaduto, ma il salto si è avvertito – governi del presidente, governi di scopo, governi di coalizione, governi senza formula politica (sic, ché l’espressione di Gaetano Mosca indicava in realtà proprio il motivo, spesso pre-politico o pre-giuridico, che lega i cittadini all’obbedienza, che fonda l’obbligazione politica). La causa scatenante è stata la crisi finanziaria (il famigerato spread), e poi la pandemia. Insomma, un’emergenza continua che aveva già le sue radici in una complessa serie di smottamenti dell’equilibrio dei poteri democratici.

Ma allora siamo di fronte a un ruolo eversivo? Certamente si tratta di un’anomalia pur nel rispetto delle forme previste dalla Carta, possibile proprio grazie a una sorta di nuova convenzione costituzionale delle forze politiche che, indebolite ed esangui, e anche furbescamente pilatesche, hanno abdicato alle loro funzioni. Un’anomalia che ora Giorgetti teorizza e pretende di formalizzare, benché – de facto – sia già formalizzata da dieci anni.

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