È stata una tesi di laurea a permettere la riapertura, dopo 25 anni dai fatti, del caso sull’omicidio di Nada Cella, la giovane impiegata massacrata nello studio dove lavorava a Chiavari il 6 maggio 1996. Una riapertura che sa di svolta perché la Procura di Genova ha iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio aggravato una donna, Annalucia Cecere, fino ad oggi rimasta nell’ombra di indagini che fin da subito erano risultate parziali e mal condotte, che si aggiunge così al commercialista Marco Soracco e alla madre Marisa Bucchioni, accusati di false dichiarazioni al pubblico ministero.
Il merito è di Antonella Pesce Delfino, che nel 2018 è arrivata a Genova per svolgere un corso in criminologia. Quando ha dovuto decidere il tema della sua tesi finale, la studentessa voleva mettere la testa su un cold case e l’omicidio Cella era l’esempio perfetto. Così è iniziata la sua ricerca, tra faldoni che hanno riportato a galla indagini mal condotte, inquinamenti della scena del crimine, mancata collaborazione tra forze dell’ordine e magistrati, richieste di intercettazioni mai rilasciate. Pesce Delfino ha sbrogliato la matassa e ha iniziato ad unire di nuovo tutti i punti, fino ad arrivare a una conclusione: ad uccidere Nadia Cella potrebbe essere stata Cecere, innamorata del commercialista per il quale la vittima 25enne svolgeva il lavoro di segretaria.
Determinante, nelle sue indagini, è stata la testimonianza, mai presa veramente in considerazione, di due testimoni che quella mattina l’avrebbero vista passare dalla strada dello studio di Soracco intorno all’ora del delitto. Secondo gli investigatori, coordinati dal procuratore capo facente funzioni Francesco Pinto e dal sostituto Gabriella Dotto, l’indagata era invaghita del commercialista ma lui era innamorato della sua segretaria. Così la rivale in amore si è recata nel suo studio e ha ucciso Cella colpendola ripetutamente alla testa con un oggetto pesante che non è mai stato ritrovato.
Soracco, difeso dall’avvocato Andrea Vernazza, risulta indagato insieme alla madre perché si sospetta che quella mattina abbia visto la presunta assassina uscire dall’ufficio, ma di averla coperta in tutti questi anni. “Gli elementi raccolti sicuramente renderanno giustizia alla mamma di Nada Cella, al suo papà scomparso e ovviamente a lei uccisa a 25 anni”, ha sottolineato l’avvocata della famiglia.
A maggio la procura ha riaperto il caso, affidando le indagini agli investigatori della squadra mobile, guidati dal primo dirigente Stefano Signoretti. In questi mesi sono state sentite decine di persone, ex inquirenti dell’epoca. Sono diversi gli elementi analizzati che hanno portato a sospettare di Cecere. La donna, 53 anni, era stata indagata fin dall’inizio ma la sua posizione era stata archiviata in breve tempo. In casa gli investigatori dell’epoca avevano trovato alcuni bottoni in un cassetto uguali a quello ritrovato sotto il corpo della segretaria. Bottoni di una giacca maschile che la presunta assassina avrebbe tolto e conservato perché di valore. Adesso la svolta definitiva potrebbe arrivare dall’esame del Dna.
“Fiducia nella giustizia e speriamo che finalmente la verità venga a galla”, è stato il primo pensiero della madre di Nada, Silvana Smaniotto. “Siamo contenti di questa svolta dovuta principalmente al decisivo interessamento della criminologa Antonella Pesce Delfino che con le sue intuizioni ha convinto la Procura a riaprire il caso – ha aggiunto – Ci speravamo vista l’accuratezza con la quale la dottoressa Gabriella Dotto ha lavorato per individuare e incriminare finalmente un possibile autore dell’efferato delitto”.