Almeno duecento incendi degni di nota negli ultimi tre anni, in provincia di Reggio Emilia, equamente divisi tra veicoli, abitazioni ed aziende. Una ventina sono sicuramente dolosi, trenta certamente accidentali, ma in mezzo c’è il purgatorio delle fiamme che bruciano decine di auto e furgoni di notte, aziende ed attività agricole anche quando piove, tetti di case ancora in costruzione. Poi officine meccaniche, concessionarie, imprese industriali. Con danni per milioni di euro e cause che rimangono spesso confinate nel regno delle ipotesi.

I NUMERI – I veicoli bruciati negli ultimi due incendi notturni ancora fumano: un furgone Mercedes Sprinter di proprietà di una azienda i cui titolari sono di origine calabrese, nel comune di Fabbrico, e una Ford Focus di un veneziano residente a Reggio. Nel caso di Fabbrico gli abitanti della zona hanno avvertito dopo il boato il rumore di un’auto che si allontanava a forte velocità. Il quadro complessivo relativo agli ultimi tre anni, dalla sentenza del processo Aemilia ad oggi, è costruito con le notizie di stampa che pescano gli eventi più significativi tra le migliaia di interventi effettuati dai vigili del fuoco. Con dati in aumento del 14% nel 2019 e del 7% anche nel 2020, nonostante il lockdown. Non è un periodo che abbiamo scelto a caso perché proprio il processo alla ‘ndrangheta emiliana aveva evidenziato quanto il “linguaggio degli incendi” fosse un tratto caratteristico della cosca. Per il “significato immediatamente percepito dagli interessati, che trascende la rilevanza in sé dell’episodio”, diceva il giudice Alberto Ziroldi già nel 2015, con l’ordinanza d’arresto per oltre cento persone. Ancora più esplicito il Pubblico Ministero Marco Mescolini che di fronte alla miriade di casi rimasti senza spiegazione scriveva: “Dobbiamo comprendere il linguaggio degli incendi, nei quali si concentra una delle forme più micidiali in cui si esprime e si rafforza la capacità di intimidazione della associazione”.

LE AUTO – Uno degli episodi tra i più clamorosi trattati in Aemilia è quello dell’incendio alla sede della Bonifazio Trasporti srl di Reggiolo, dove nel novembre 2012 vanno in fumo nove autotreni con un rogo doloso che “non ha precedenti in Italia”, dicono gli atti. Alla base c’era una vicenda estorsiva legata ad un debito di 100mila euro che coinvolse pezzi da novanta della cosca emiliana: Nicolino Sarcone, Giuseppe Giglio, Antonio Silipo. Dopo la fine del processo di fatti altrettanto eclatanti ne sono accaduti molti. Il primo avviene la notte del 4 dicembre 2018, con la distruzione dei tre capannoni dell’azienda “Fornitura e stampe” nel comune di Casalgrande. Nei trenta roghi successivi che hanno colpito attività industriali, spicca il violento incendio alla concessionaria Auto Zatti di Brescello il 6 maggio 2019, con una quarantina di auto distrutte, il tetto crollato, sei persone intossicate e un vigile del fuoco ferito gravemente. Il 6 agosto 2020 tocca alla concessionaria Citroen di Pieve Modolena, alla periferia di Reggio, dove alle 4 di notte bruciano sotto un tendone alcune auto in vendita e solo grazie all’allarme lanciato da una guardia giurata si riesce a salvare le altre 200 parcheggiate. Il 24 ottobre 2020 i vigili del fuoco corrono con sette squadre a domare le fiamme che divampano nel capannone di 1500 metri quadri dell’azienda Agriservice, nella zona annonaria di Reggio Emilia. Vanno distrutti macchine agricole, attrezzature e mezzi per il giardinaggio, schiacciati dal tetto che collassa. Si parla di fiamme scaturite da un barile di olio esausto e i giornali definiscono “giganteschi” i danni. Il 17 gennaio 2021 divampano col buio le fiamme al principale deposito dell’azienda pubblica di trasporti Seta, vicino al Campovolo di Reggio Emilia. Sono coinvolti 22 autobus di cui 13 completamente distrutti, con un danno di tre milioni di euro. Si ipotizza il surriscaldamento alla base di un cortocircuito.

L’AVVOCATO DI IAQUINTA – Il cortocircuito è la spiegazione più inflazionata, quando non sono chiare le cause, per i tanti incendi di auto, furgoni e motorini, nei parcheggi e nei garage della provincia. Le cronache reggiane ne documentano 62 tra l’ottobre 2018 e lo stesso mese del 2021. Tra i pochi casi segnalati alla direzione distrettuale antimafia di Bologna, c’è quello della Mercedes Glc dell’avvocato Pasquale Muto, bruciata a Reggiolo il 7 agosto di quest’anno a notte fonda, davanti al residence in cui vive il legale. Pasquale Muto nel processo Aemilia è difensore di Giuseppe Iaquinta, l’imprenditore condannato a 13 anni in Appello. Dopo l’incendio l’avvocato Muto, riportano i giornali, si è dichiarato “tranquillo” e ha escluso nel modo più categorico che il fatto sia collegabile a qualche atto criminale.

L’AUTOCOMBUSTIONE – Perché e come brucino le auto ferme nei parcheggi è un mistero emiliano-lombardo che risuona in Aemilia e nel collegato processo Pesci alla cosca cutrese insediata nel mantovano. Sulla riva sinistra del Po è un vigile del fuoco, dopo l’ennesimo incendio per “autocombustione”, che domanda ironicamente ad una giornalista: “Secondo te, le case automobilistiche sono in debacle totale che costruiscono auto che bruciano? Le fabbricano farlocche?” Sulla riva destra invece un caso da letteratura è l’incendio di una Bmw serie 7. È l’auto di Michele Colacino, uomo di fiducia del boss Romolo Villirillo caduto in disgrazia e messo al bando dai Grande Aracri. Dell’incendio, avvenuto a Reggio Emilia nel 2011, sono accusati Alfredo Amato e Gabriele Valerioti, inchiodati dai Carabinieri sul luogo dell’episodio grazie alle intercettazioni telefoniche. I due però si difendono con grande maestria, sostenendo che si trovavano sì nel parcheggio, ma che il loro vero obbiettivo era rubare la cassaforte del supermercato di zona.

IL RACCONTO DEL PENTITO – Il processo Aemilia ci spiega anche come si può bruciare un’auto senza lasciare alcuna traccia del dolo, e il metodo torna d’attualità negli incendi che riguardano aziende agricole e depositi di rotoballe. Una vera piaga, con oltre trenta roghi nell’ultimo triennio e danni per milioni di euro. Il mese maledetto è il maggio 2020, quando in venti giorni sono colpite dalle fiamme almeno dieci aziende agricole dalla pedecollina al Po. Il caso più grave a Bibbiano, con oltre 2000 rotoballe ridotte in cenere. Altro periodo di fuoco è il settembre 2019, con quattro incendi in un mese e con il record di 3000 rotoballe bruciate a Reggiolo in una azienda già colpita dalle fiamme anni prima.

Il caso più recente avviene la mattina del 6 settembre 2021 in un campo agricolo di Sant’Ilario al confine con Parma. Le fiamme si alzano da una montagnola di sterpaglie ma un residente della zona riesce a bloccare l’incendio con secchi d’acqua. I carabinieri intervengono e trovano sul posto alcune bottiglie piene di benzina, le cosiddette bombe molotov, e tavolette di “diavolina”, il materiale altamente infiammabile che si usa per innescare le fiamme nelle stufe. Grazie alle telecamere viene identificato e denunciato per incendio doloso e porto abusivo d’armi un autotrasportatore di 31 anni, fermato con la diavolina e una pistola taser funzionante in tasca. Anni prima era stato il collaboratore di giustizia Antonio Valerio a spiegare ai pm come si può innescare un incendio con la diavolina senza lasciare traccia: “Si piglia una tanichetta di plastica, la si riempie un po’ di benzina e gasolio, la si posiziona con una diavolina accesa sopra. La diavolina si consuma, finché buca la tanica e salta tutto. Va la Scientifica e non trova nulla! Non trovano tracce”.

LA STRATEGIA – Ci sono infine gli incendi che colpiscono abitazioni e case in costruzione, a partire dai tetti per arrivare ai garage. 61 sono quelli più significativi nel triennio e in questo segmento si registrano anche due vittime. Sono marito e moglie marocchini, morti nell’incendio del 10 dicembre 2018 partito dalle cantine di una palazzina di via Turri: una delle aree di Reggio Emilia ad alta immigrazione più problematiche della città. Le fiamme nella notte trovarono molte famiglie impreparate e si registrarono 38 intossicati, alcuni gravi. I corpi delle vittime che risiedevano al secondo piano erano sulle scale: morti per asfissia. Per quell’incendio è stato indagato di omicidio preterintenzionale il proprietario di alcuni appartamenti che aveva debiti col condominio.

A bruciare a Reggio Emilia sono però molto spesso i tetti di case in costruzione, dove ancora nessuno abita. È storia ben nota alle cronache di Aemilia, che ci raccontano di personaggi come Gaetano Blasco (22 anni e 11 mesi di carcere in appello) che accompagnava in tour per la provincia imprenditori edili restii ad appaltare alla sua azienda la costruzione dei tetti. Faceva loro vedere i cantieri edili dove aveva appiccato le fiamme a chi non accettava le sue forniture. Lo racconta con dovizia di dettagli agli investigatori Baraku Valbon, un costruttore albanese che con Blasco entrò poi in società: “Mi accompagnò sul cantiere per mostrarmi l’incendio e mi disse chiaramente che era stato lui a bruciare il tetto, rammaricandosi perché il fuoco non aveva preso bene”. Anche molti di quegli incendi vengono poi attribuiti, per i miracoli che producono omertà e intimidazione, all’autocombustione per il caldo. Tetti e sottotetti vanno a fuoco dopo la fine del processo in una buona metà dei 42 comuni della provincia. Anche quando, come a Boretto sulle rive del Po, le fiamme partono di notte, in una casa vuota, mentre fuori piove.

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