Nella giornata della Cop26 di Glasgow dedicata alla natura e all’uso della terra, che segna anche la fine della prima settimana della Conferenza delle Parti sul clima, 45 governi, guidati dal Regno Unito, si sono impegnati a investire complessivamente 4 miliardi di dollari in azioni “per proteggere la natura e passare a sistemi agricoli più sostenibili”. Queste risorse saranno spese nello sviluppo di sementi resistenti al cambiamento climatico e in soluzioni per migliorare la salute del suolo, oltre che nel rendere disponibili queste innovazioni agli agricoltori di tutto il mondo. Sono i 26 Paesi che sostengono l’Agenda d’azione politica per la transizione all’agricoltura sostenibile o l’Agenda d’azione globale per l’innovazione in agricoltura, nonché i 28 che fanno parte della Roadmap Fact (Forest, Agriculture and Commodity Trade), tra cui c’è anche l’Italia. E mentre la Banca Mondiale si impegnerà a spendere 25 miliardi di dollari all’anno in finanziamenti per il clima fino al 2025 attraverso il suo Piano d’azione per il clima e con particolare attenzione proprio all’agricoltura e ai sistemi alimentari, quasi 100 aziende di diversi settori si sono impegnate in questa direzione. Tra queste anche alcune catene di supermercati che si impegnano a ridurre il loro impatto ambientale e marchi di moda che garantiranno la tracciabilità dei loro materiali. Troppo presto per dire come questo impegno potrà tradursi in iniziative concrete, anche perché dipenderà dai singoli progetti e anche dai contesti nei quali verranno sviluppati, ma le risorse, da quanto è dato sapere, saranno impiegare nell’innovazione dei sistemi agricoli, più che a cambiamenti nei sistemi alimentari.
IMPEGNI PER CAMBIARE LE POLITICHE AGRICOLE – Ventisei nazioni, inoltre, hanno stabilito nuovi impegni per cambiare le loro politiche agricole. Il Regno Unito ha anche annunciato un finanziamento di 500 milioni di sterline (675 milioni di dollari) per sostenere l’attuazione della Roadmap Fact, mentre altri 65 milioni di sterline sosterranno una “giusta transizione rurale” per aiutare i paesi in via di sviluppo a spostare politiche e pratiche verso un’agricoltura e una produzione alimentare più sostenibili. Una priorità, come spiegato anche a ilfattoquotidiano.it Aimable Uwizeye, funzionario della FAO per le politiche degli allevamenti, parlando delle misure ad hoc necessarie per intraprendere un percorso più sostenibile anche nei Paesi poveri. I piani di questi 26 Paesi includono quelli della Germania per ridurre le emissioni derivanti dall’uso del suolo di 25 milioni di tonnellate entro il 2030, l’obiettivo del Regno Unito di coinvolgere il 75% degli agricoltori in pratiche a basse emissioni di carbonio entro il 2030 e il piano del Brasile per risparmiare un miliardo di tonnellate di emissioni provenienti dall’agricoltura entro il 2030.
OCCHI PUNTATI SUL BRASILE – Sulla carta dovrebbe essere un passo importante per il paese dove a giugno 2021 Ricardo Salles, ex ministro dell’Ambiente fedelissimo del presidente Jair Bolsonaro, è stato costretto a dimettersi perché accusato di aver favorito agricoltori e allevatori intensivi, oltre che le ditte del legname, che chiedevano sempre più spazi a discapito del polmone verde del mondo, ingaggiando anche una dura lotta con le popolazioni indigene che abitano la foresta amazzonica. Tra le 26 nazioni che hanno presentato nuovi impegni, ci sono anche India, Colombia, Vietnam, Germania, Ghana e Australia.
FORESTE, TERRE E IL RUOLO DELL’EUROPA – Gli impegni assunti dai questi Paesi aiuteranno ad attuare anche la Dichiarazione dei leader di Glasgow sulle foreste e l’uso del suolo, che è ora approvata da 134 paesi che coprono il 91% delle foreste mondiali. Ma la deforestazione non è uguale nel mondo: negli ultimi dieci anni la superficie forestale è aumentata in Asia, Oceania ed Europa, mentre il tasso più alto di deforestazione netta è stato registrato in Africa, seguita dal Sud America. Ed è importante il ruolo dell’Europa, visto che l’Unione è tra i principali finanziatori della deforestazione globale, in quanto è il secondo più grande importatore al mondo di prodotti come soia, olio di palma e carne bovina, seguiti da prodotti legnosi da piantagioni, cacao e caffè. Cruciale, dunque, il ruolo dell’alimentazione, ma anche quello che farà nel prossimo futuro l’Unione europea, che dal 2016 al 2019 ha sponsorizzato con il 32% del budget europeo per i prodotti agricoli, carne e latticini, di cui si dovrebbe ridurre il consumo del 70% entro il 2030.
QUEL LEGAME TRA SUOLO, AGRICOLTURA E I SISTEMI ALIMENTARI – Eppure, secondo uno studio pioneristico pubblicato a marzo 2021 nella rivista Nature Food e condotto da Francesco Tubiello, statistico principale ed esperto in cambiamenti climatici dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), in collaborazione con ricercatori del Centro comune di ricerca della Commissione europea di Ispra (Varese), i sistemi alimentari di tutto il mondo sono responsabili di un terzo delle emissioni di gas a effetto serra generate dalle attività dell’uomo. Sono proprio i sistemi alimentari attualmente insostenibili l’origine di cambiamenti nella destinazione d’uso dei terreni, produzione agricola, di imballaggi e anche di rifiuti. Si calcola che nel 2015 le emissioni riconducibili ai sistemi alimentari abbiano raggiunto un volume pari a 18 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio equivalente, ossia il 34% delle emissioni totali. E sebbene la percentuale (rispetto alle altre cause) stia progressivamente diminuendo dato che nel 1990 era del 44%, è pur vero che le emissioni generate dai sistemi alimentari hanno continuato ad aumentare in termini assoluti.