Al termine della camera di consiglio, durata circa cinque ore, la sentenza del gup Claudio Paris è arrivata oggi pomeriggio nell’aula bunker di Lamezia Terme dove si sta celebrando il maxi-processo alla cosca Mancuso. Vent'anni di carcere per il braccio destro di Luigi Mancuso, Pasquale Gallone, e a Domenico Macrì, Gregorio Niglia e Francesco Antonio Pardea. Tra le assoluzioni, alcune erano state chieste dalla stessa Procura. Le motivazioni tra novanta giorni
Ha retto la tesi della Dda di Catanzaro: nel troncone che vede alla sbarra i 91 imputati che hanno scelto il rito abbreviato, il processo “Rinascita-Scott” si è chiuso con più di 70 condanne e 19 assoluzioni, alcune delle quali richieste dallo stesso procuratore Nicola Gratteri e dai sostituti Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso. Al termine della camera di consiglio, durata circa cinque ore, la sentenza del gup Claudio Paris è arrivata oggi pomeriggio nell’aula bunker di Lamezia Terme dove si sta celebrando il maxi-processo alla cosca Mancuso che, in provincia di Vibo Valentia, controlla anche il respiro delle persone. Secoli di carcere sono stati inflitti a boss e luogotenenti della ‘ndrangheta. I principali imputati dell’inchiesta, circa 300, hanno scelto il rito ordinario. Tuttavia, nello stralcio che si è concluso oggi ci sono diversi capi cosca del vibonese e uomini di fiducia del mammasantissima Luigi Mancuso, detto “lo zio”.
Gli imputati – Pezzi da novanta come il suo braccio destro, Pasquale Gallone, condannato a 20 anni di carcere. Stessa pena è stata inflitta a Domenico Macrì detto “Mommo”, Gregorio Niglia detto “Lollo” e Francesco Antonio Pardea. Sono stati condannati anche il vibonese Domenico Camillò (15 anni di reclusione), il boss di San Gregorio d’Ippona Gregorio Gasparro (16 anni), Sergio Gentile (14 anni), Domenico Pardea (16 anni). Le accuse per tutti vanno dall’associazione mafiosa alle estorsioni passando per l’intestazione fittizia di beni, l’usura, il riciclaggio e numerosi altri reati aggravati dal favoreggiamento alla ‘ndrangheta. Il gup ha condannato anche Gregorio Giofré (13 anni e 4 mesi di carcere), l’ex latitante Domenico Cracolici (10 anni e 8 mesi) e il boss di Reggio Calabria Orazio De Stefano (8 anni e 8 mesi). Quest’ultimo è il fratello del boss defunto “don Paolino” De Stefano e, stando all’impianto accusatorio, si sarebbe rivolto a un suo uomo per far riscuotere un debito che interessa alla cosca Mancuso.
Sul banco degli imputati c’erano pure l’ex testimone di giustizia Giuseppe Scriva (12 anni), l’impiegata del Tribunale di Vibo Valentia Carmela Cariello (4 anni e 6 mesi) e i collaboratori di giustizia Bartolomeo Arena (4 anni e 8 mesi), Gaetano Cannatà (3 anni e 8 mesi), Michele Camillò (4 anni) ed Emanuele Mancuso (1 anno e 2 mesi), figlio del boss Pantaleone Mancuso detto “l’ingegnere”. Tra i 19 assolti, invece, l’imprenditore e avvocato Vincenzo Alberto Maria Rende e il notaio Sapienza Comerci per i quali la Procura aveva chiesto la condanna. Le motivazioni della sentenza arriveranno tra novanta giorni.
L’indagine – Il processo è nato dall’inchiesta che nel dicembre 2019 ha portato all’arresto di oltre 300 persone tra membri della ‘ndrangheta, uomini politici e servitori infedeli dello Stato. Con l’operazione “Rinascita-Scott” la Dda di Catanzaro ha smantellato la cosca Mancuso facendo luce sulle cointeressenze dei boss con personaggi del mondo politico. Tra gli imputati che hanno scelto il rito ordinario e che sono stati rinviati a giudizio, infatti, ci sono l’ex sindaco di Pizzo Calabro Gianluca Callipo, l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino e, soprattutto, l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli, arrestato prima nell’inchiesta della Dda di Catanzaro e recentemente anche nell’operazione “Mala pigna” coordinata dalla Dda di Reggio Calabria. Stando a quanto emerge nell’indagine, Pittelli sarebbe “l’affarista massone dei boss della ‘ndrangheta calabrese” che con lui è riuscita a relazionarsi “con i circuiti bancari, con le società straniere, con le università e con le istituzioni tutte”. Per i pm, infatti, Pittelli era il “passepartout” del boss Luigi Mancuso, “la cerniera tra i due mondi” in una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere”.
Il commento – “Questa di oggi è una sentenza importante”, è stato il commento del procuratore Nicola Gratteri. “Aspetteremo le motivazioni per capire se qualche assoluzione può essere rivista proponendo appello. Il dispositivo di questa sera dimostra il corpo del capo di imputazione. Su 91 imputati, se ci sono 19 assoluzioni di posizioni marginali, ritengo che il lavoro della Procura è stato confermato alla grande. Andiamo avanti con il nostro lavoro, con serenità, con tranquillità e con la fermezza che serve per un processo così importante”.