Che cos’è la vita? Non lo so, mi arriva addosso come un treno, ogni benedetto attimo, mi tramortisce costantemente, per fortuna noi esseri umani abbiamo l’airbag della memoria che ci protegge dallo schianto continuo. Onde d’urto e il cuscino di piume dei ricordi. La vita si riduce a questo? Si nasce, si crepa? Tutto qui. E in mezzo a questi due eventi radicali il traffico degli appuntamenti, delle illusioni e delle disillusioni?

Un mio amico, Raffaele Rivieccio, ha scritto: “Le battaglie perse in partenza spesso si vincono all’arrivo“. E che cosa vinceremo all’arrivo? Una manciata di polvere? L’acaro è il dio assoluto dei nostri giorni? Vorrei tanto credere in un salvatore, ma non riesco a farlo, non riesco a vedere oltre le noccioline dei miei aperitivi terreni. Posso rifiutare la vita eterna per una manciata di patatine e olive, corredate da un Martini agitato, non mescolato. Preferisco Bond, James Bond a Dio? No, non lo preferisco, so bene che James Bond non mi salva dai miei limiti, dalle mie agonie spirituali.

Eppure la vita eterna non mi convince, non mi convince una dimensione nella quale siamo costretti alla puntualità, “che ora è? sono in ritardo?”, “ma quale ritardo? sei eterno, sei puntuale sempre”. Una puntualità coatta uccide la fantasia e il desiderio. Mi sembra inumana e paradossalmente senza pietà. Se posso vivere con serenità la fragile resurrezione del mattino, non potrei accettare di risorgere per sempre. Una volta ho scritto: risorgere, risorgere non per vivere in eterno, ma per morire con più convinzione. Ovviamente non sono attratto nemmeno dalla reincarnazione, l’unica reincarnazione che pratico è il sesso. Mi reincarno in un altro corpo. Così la vita diventa una serie di dettagli senza un disegno finale, dettagli in un vicolo cieco, me ne rendo conto, ma è una vita più accettabile di quella eterna. Ai miei occhi. Attimo, fermati, sei così bello.

Ma tutto fugge senza pietà. Oppure è il contrario: l’attimo fugge perché ha pietà di noi? L’attimo fugge per salvarci dalla pietrificazione? Quante domande.

Vedete che cosa succede al cervello di un uomo disoccupato, senza un lavoro? Mi arrabatto nei miei pomeriggi melmosi, senza punti di riferimento, gettando il mio sguardo vischioso sul mondo, sulla mia fetta di mondo. Anche dal balcone di casa mia. È uno sguardo sul precipizio, sulla vertigine dell’insensato. Ma una cosa la sento in modo implacabile: la ragione non mi colma. Non mi porta pace, la ragione è una tortura. Cerco sempre il mistero nella vita. Una cifra enigmatica, l’inesplicabile fra le briciole della mia tovaglia.

Che cosa mi resta dunque? Un tozzo di pane mangiucchiato. Non altro. E sono felice. Sono felice perché ogni morso che ho dato a questa vita è stato dato con amore. L’amore mi sbriciola. Cercatemi fra le briciole, sotto cieli di nuvole.

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