Nella notte tra il 6 e il 7 novembre (24 e 25 ottobre del calendario giuliano) del 1917 la Rivoluzione d’ottobre cambiò profondamente la Russia e il mondo. Di questa storia è stato raccontato molto, così come del suo rapporto complesso e conflittuale con le traduzioni internazionali del comunismo, ricche di tutte le loro specificità, ma sempre rivolte a Mosca, orizzonte ideale per tutte e tutti i militanti, oltre che centro di riferimento politico effettivo del comunismo internazionale, all’interno di un sistema di strutture gerarchiche, spesso in realtà molto più fluide e legate ai contesti nazionali e soprattutto locali, di quanto la narrazione lasci pensare.
Fatto sta che alle origini della nascita del Partito comunista e dell’Unione Sovietica e, poi, dei vari partiti comunisti nel mondo, c’è stato lo snodo della Rivoluzione. Molto poco però si sa, o meglio molto poco si racconta, delle dinamiche che la anticiparono, disegnando il terreno, le radici, su cui si sarebbe sviluppata la stessa storia del comunismo sovietico.
Partiamo da qualche anno prima, il 1905, una domenica. Le truppe dello zar Alessandro II sparano sulla folla durante una manifestazione. Da poco è stata persa la guerra con il Giappone per conquistare l’egemonia nel pacifico e, come naturale conseguenza della disfatta bellica, la popolazione inizia a vedere peggiorare ulteriormente le proprie condizioni materiali. Non c’è cibo e, dopo che tanti uomini sono morti in guerra, tanti altri stanno morendo di fame. Aumentano i disagi e la popolazione inizia a rivendicare tutele costituzionali e migliori condizioni sul lavoro ma lo Zar ordina di reprimere la manifestazione. Continua però a crescere la tensione e la corrazzata Potëmkin fa ammutinamento. Lo zar è costretto a fare qualche concessione, ma sono concessioni di facciata, che vedono la formazione di un Parlamento in mano perlopiù a nobili, grandi proprietari terrieri e pochi grandi industriali. Fatto sta che, nel frattempo, lavoratrici e lavoratori riescono a organizzarsi creando proprie strutture: i soviet, cioè organismi assembleari costituiti da operai e contadini e finalizzati alla gestione democratica diretta del potere economico e politico.
Da cosa nasce però questo esperimento, che sarà poi alla base della formazione dell’Unione Sovietica? Origina da un’imposizione dall’alto o dalla società stessa? Subentra qui la specificità della storia dei luoghi. C’era già qualcosa che stava nelle abitudini secolari, nella cultura profonda del popolo russo. Prima del soviet c’era infatti l’obščina, comunità di villaggio che si basava su consigli assembleari partecipati e sul principio della democrazia diretta. Le terre, quando riscattate con dura fatica e ad alto prezzo, venivano gestite dai contadini in modo comunitario: ogni famiglia coltivava un pezzo di terra e godeva dei suoi prodotti ma non della proprietà. Le porzioni di terreno erano infatti assegnate a rotazione, a seconda del numero dei componenti familiari e gestite collettivamente. In queste comunità di villaggio esisteva anche un organo apposito, eletto, preposto alla raccolta e gestione della fiscalità e all’organizzazione della leva.
Quando i contadini avevano iniziato a spostarsi verso le zone urbane per lavorare nelle industrie, si erano creati flussi di uomini e donne ma anche di abitudini sociali e politiche. E nelle fabbriche si stavano creando dei consigli su iniziativa di lavoratori e lavoratrici (moltissime erano anche le donne), che ricordavano molto la gestione diretta e partecipata dell’obščina, decostruendo però alcuni elementi più tradizionali legati a quelle strutture familiari che disegnavano gli equilibri delle campagne. Nel frattempo, si erano anche formati alcuni gruppi politici clandestini, vicini al movimento dei lavoratori e delle lavoratrici.
In particolare, è in questi anni che nasce il Partito socialdemocratico russo, partito marxista, diviso in due correnti: i bolscevichi guidati da Lenin – Vladimir Ilič Uljanov – e i menscevichi guidati da Julij Martov. I bolscevichi ritenevano indispensabile la costruzione di un partito di avanguardia con strutture organizzate (il giovane Stalin, bolscevico, contribuì alla rapina di una banca a Baku, proprio per finanziare le strutture organizzate del partito clandestino). I menscevichi erano per una formazione più ampia ed elastica. Negli anni le divergenze tra le due fazioni si erano approfondite e lo scoppio della Grande Guerra aveva determinato uno snodo importante. I menscevichi avevano deciso di sostenere le truppe imperiali abbracciando la logica della guerra di Patria; i bolscevichi invece premevano sulla trasformazione della guerra tra imperi in guerra civile rivoluzionaria.
I due gruppi erano così arrivati alle porte della Rivoluzione d’ottobre con una differenza sostanziale: i menscevichi appoggiavano l’idea di una transizione democratico-parlamentare, i bolscevichi erano per la sovversione del sistema e per la rivoluzione socialista. Le divergenze tra menscevichi e bolscevichi, ormai già ufficialmente scissi in due gruppi distinti, continuavano a crescere, mentre la
popolazione stava subendo un’altra guerra e l’atmosfera era tesa tra disperazione e fermento.
Febbraio 1917: un gruppo di donne sfinite dalla fame e dalle file chilometriche per racimolare qualche tozzo di pane, inizia a protestare per le strade e, ben presto, operai e operaie si uniscono. Quando i reparti dell’esercito sono chiamati per reprimere la protesta decidono di unirsi alla folla. Lo zar abdica e la Russia diventa una Repubblica, con un governo moderato. Intanto la guerra prosegue.
Nell’aprile 1917, Lenin, che era fuggito esule in Germania, torna a San Pietroburgo, dopo un viaggio di mille chilometri su un treno piombato. Appena arrivato, scende dal vagone, va per strada, sale su un autoblindo e tiene un discorso ai tanti lavoratori e lavoratrici che sono giunti là dopo la soffiata sul suo arrivo. Centrale è uno slogan: Pane, pace, potere ai soviet. E in effetti, caduto lo zar e mentre si stava strutturando il governo provvisorio, anche una trama fitta di contropoteri organizzati si era articolata in diverse realtà, soprattutto urbane ma non solo: i soviet degli operai, dei contadini, dei militari si stavano diffondendo velocemente, fornendo un modello
politico che iniziava a potersi concretamente presentare come modello strutturalmente alternativo: oltre all’impostazione democratico-diretta, l’idea politica che univa le diverse reti era quella di portare avanti rivendicazioni concrete rispetto alla redistribuzione delle ricchezze, delle terre, delle fabbriche e alla necessità di una pace immediata. I bolscevichi, che erano vicini e all’interno di questi organismi, trovarono realtà già vive e radicate nella società russa.
Qualche mese dopo l’ottobre rivoluzionario avrebbe confermato la centralità dei soviet, articolando un modello di riferimento, nato dall’intreccio tra un’esperienza storica maturata nella società, nelle campagne, in alcune zone urbane della Russia e nuove forme di rielaborazione politica diffuse a livello internazionale, ma che avrebbero preso forma incontrando le storie specifiche di ogni territorio e di ogni società.