Nel 2018 la sindaca M5s, per una sorta di resa dei conti interna, decise di candidare la città in solitaria e perse, anche perché Malagò decise di appoggiare l'asse Milan-Cortina, a cui la prima cittadina non volle accodarsi. Ora Stefano Lo Russo ci riprova, individuando i punti deboli del dossier olimpico, gli impianti più discussi, su cui il Piemonte potrebbe tornare utile. In cambio di soldi
Fuori i 5 stelle, dentro i cinque cerchi: uno dei primissimi atti del neosindaco Pd Stefano Lo Russo è archiviare l’era Appendino con le Olimpiadi. Quelle invernali del 2026, di Milano-Cortina, e adesso che non c’è più di mezzo il Movimento magari anche un pochino del Piemonte. O almeno così sperano tra Comune e Regione, per provare a sedersi al ricco tavolo dei Giochi, che avrebbe dovuto essere a costo zero per lo Stato, ma è stato imbandito con oltre un miliardo e mezzo di fondi pubblici. L’operazione è chiara, almeno dal punto di vista politico: segnare la discontinuità dal passato e dai 5 anni di Chiara Appendino, su uno dei temi più ideologici e divisivi per il M5S, le Olimpiadi. Nel 2018 Torino le perse per una serie di veti interni e manovre esterne, da cui finì stritolata: la maggioranza 5 Stelle si spaccò sulla candidatura congiunta con Milano e Cortina, il famoso “Mi-To-Co”, uno strano mostro a tre teste che non convinceva nessuno.
La sindaca Appendino presentò Torino da sola, ma fu tradita dalle manovre del Coni di Malagò (schierato con Milano) e dall’ambiguità del governo, che inizialmente aveva promesso di non sostenere nessun progetto, ma poi di fatto ha appoggiato Milano-Cortina (e l’ha pure finanziata). Risultato: i Giochi sono finiti in Lombardia e Veneto, Torino è stata parzialmente risarcita con le Atp Finals di tennis che proprio in questi giorni vengono presentate in città. Però lo smacco olimpico è stato spesso rinfacciato alla Appendino, anche in campagna elettorale. E qualcuno a Torino continua a rimpiangere quell’opportunità, soprattutto alla luce dei tanti finanziamenti che stanno piovendo sui territori coinvolti. Così ecco la mossa di Lo Russo, in asse col governatore Alberto Cirio (del resto Pd e Forza Italia sono sempre stati in sintonia sui grandi eventi): far rientrare Torino dalla finestra, dopo che si è chiusa la porta principale. “Non é un sogno ma una buona speranza legata a dati concreti, come i tempi e i costi di realizzazione del nuovi impianti, su cui faremo valere le nostre buone relazioni con il governo Draghi, con Milano e con il Veneto”, ha spiegato il sindaco. A quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, l’assessore regionale Fabrizio Ricca ci stava già lavorando da tre mesi, in vista dell’uscita di scena di Appendino: ne ha parlato più volte con la sottosegretaria Vezzali, a cui ha presentato un mini-dossier che porterebbe un risparmio di 300 milioni.
La cifra forse è ottimistica, come il progetto, ma il piano in teoria è semplice: provare a inserirsi nei punti deboli del dossier olimpico, gli impianti più discussi, su cui il Piemonte potrebbe tornare utile. Il primo che viene in mente è il bob, autentica cattedrale nel deserto che il Veneto pretende di realizzare a Cortina rifacendo la vecchia pista Eugenio Monti a cifre astronomiche (si parla di almeno 70-80 milioni): il Piemonte avrebbe Cesana, eredità di Torino 2006 che però non ha avuto miglior sorte, pure questa è stata abbandonata e smontata, e quindi andrebbe ristrutturata, a una cifra forse minore ma comunque considerevole. Discorso leggermente diverso per il trampolino (c’è l’ipotesi Pragelato) e soprattutto per il pattinaggio: qui l’Oval di Torino è già pronto ed è una location di assoluto prestigio, mentre il faraonico palazzetto nella piccola Baselga di Pinè è un azzardo che non convince nemmeno gli enti locali. Le chance sono ridotto al lumicino, e lo sanno anche a Torino. Fin qui non sono arrivate aperture: “È troppo tardi, non possiamo rimettere in discussione tutto”, chiude il sindaco Beppe Sala. “Milano e Cortina si sono prese le loro responsabilità con la candidatura. Torino, come Roma, no”, commenta Malagò, presidente della Fondazione olimpica. Per cambiare una sede di gara ci vorrebbero i due terzi dei voti nel Cda del Comitato, composto da Coni e enti locali. E il punto è proprio questo: difficilmente Milano e Cortina molleranno qualcosa. La situazione potrebbe cambiare solo se fossero loro a voler rinunciare a qualche disciplina meno gradita, o in caso di gravi problemi. Così Torino potrebbe tornare in gioco magari per il pattinaggio, o per qualche piccolo evento collaterale, gli allenamenti, i ritiri di qualche nazionale. Briciole del ricco tavolo imbandito dal governo, o forse nemmeno quelle.