A poco più di un mese dalla sentenza i giudici della V sezione hanno depositato le motivazioni del verdetto che lo scorso 5 ottobre ha confermato le condanne all’ergastolo per i boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino
Non ci sono dubbi che l’attentato al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta è di “paternità mafiosa”, anche se ci sono “anomalie” come il coinvolgimento del Sisde e “zone d’ombra” come la scomparsa dell’agenda del magistrato. A poco più di un mese dalla sentenza i giudici della V sezione penale della Cassazione hanno depositato le motivazioni del verdetto del processo Borsellino quater che lo scorso 5 ottobre ha confermato le condanne all’ergastolo per i boss palermitani Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, condannando per calunnia i falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci e Francesco Andriotta (per quest’ultimo con un lieve sconto di pena di 4 mesi) confermando la sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta nel novembre 2019. Per gli ermellini, quanto emerso nel processo sulla trattativa Stato mafia – come stabilito in appello – è di “sostanziale neutralità” e non ci sono “nuovi scenari”, nonostante gli “abnormi inquinamenti delle prove”.
Ad avviso della Suprema Corte, in maniera condivisibile, i magistrati di merito hanno ritenuto che “i dati probatori relativi alle ‘zone d’ombra’ possano al più condurre a ipotizzare la presenza di altri soggetti o di gruppi di potere (co)-interessati all’eliminazione di Paolo Borsellino, ma ciò non esclude il riconoscimento della ‘paternità mafiosa’ dell’attentato di Via D’Amelio e della sua riconducibilità alla ‘strategia stragista’ deliberata da Cosa Nostra, prima di tutto come ‘risposta’ all’esito del maxi processo”.
Tutto questo secondo “non fa certo venir meno la complessità finalistica di quella strategia, proiettata in una triplice dimensione: una finalità di vendetta contro il ‘nemico storico’ di Cosa Nostra rimasto in vita dopo la strage di Capaci”, una “finalità preventiva, volta a scongiurare il rischio che Paolo Borsellino potesse raggiungere i vertici delle nuove articolazioni giudiziarie promosse da Giovanni Falcone“; e una “finalità, infine, schiettamente destabilizzatrice” dell’attentato di Via D’Amelio volta a “mettere in ginocchio lo Stato” ma “sempre nella prospettiva di Cosa Nostra tesa a “fare la guerra per poi fare la pace”. Per questi motivi, il verdetto degli ermellini ha confermato il ragionamento e la ricostruzione della strage fatta dalla Corte di assise d’appello nella sentenza emessa il 15 novembre 2019.
“Il tema delle anomalie del modus procedendi degli ‘inquirenti suggeritori’ evoca quelle che la sentenza impugnata definisce le ‘origini delle calunnie’, ossia gli abnormi inquinamenti delle prove che hanno condotto a plurime condanne di innocenti. Centrale in questa vicenda è la figura di Vincenzo Scarantino – scrivono i supremi giudici – nei cui confronti gli elementi di prova raccolti hanno condotto i giudici di merito ad accertare ‘l’insorgenza di un proposito criminoso determinato essenzialmente dall’attività degli investigatori, i quali esercitarono in modo distorto i loro poteri con il compimento di una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestioni'”.