Cacciatori di tangenti. In alcuni casi magistrati che nei loro paesi hanno fatto la storia “giudiziaria” per inchieste che per portata possono essere paragonate all’italiana Mani pulite. Per questo la lettera che hanno scritto all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) chiedendo di fare luce su quanto sta accadendo alla procura di Milano “sotto attacco per aver perseguito casi di corruzione internazionale“ ha un peso specifico assoluto.
La più famosa è sicuramente Eva Joly (nella foto), l’ex giudice istruttore protagonista dell’inchiesta con al centro il colosso petrolifero Elf, ora impegnata nella politica europea con i verdi e anche candidata all’Eliseo negli anni scorsi. Norvegese di nascita francese di adozione Joly divenne famosa per aver messo sotto accusa e fatto arrestare il presidente delle ferrovie Loik Le Floch-Prigent, e l’imprenditore Bernard Tapie. L’industriale fu svegliato all’alba dai poliziotti nel suo letto.
Il documento a difesa dei pm milanesi porta la firma anche del giurista statunitense e già avvocato dello Stato Richard Messick. Consulente di organizzazioni internazionali, agenzie di sviluppo e organizzazioni non governative in materia di sviluppo legale e lotta alla corruzione. Messick ha fatto parte della Banca mondiale ed è stato impegnato in progetti di riforma legale e giudiziaria e di lotta alla corruzione. Anche brasiliano Silvio Antonio Marques, pubblico ministero a San Paolo dove conduce indagini sulla corruzione da 25 anni, ha firmato la lettera. C’è poi anche la magistrata svizzera Maria Schnebli, per un periodo distaccata a Eurojust, che in passato ha svolto indagini su riciclaggio di denaro, criminalità organizzata, corruzione e terrorismo. Il tedesco Richard Findl è invece procuratore e responsabile di dipartimento a Monaco di Baviera ed è specializzato in casi di corruzione. Dal 2003 al 2008 è stato giudice della corte distrettuale occupandosi di cause di diritto civile e poi di procedimenti penali. Nel 2008 è tornato alla Procura di Monaco per partecipare alle indagini sul caso Siemens.
In tutto sono quindici magistrati di dodici nazioni che ritengono che la lotta alla corruzione sia in qualche modo minacciata. “La corruzione in Italia sembrerebbe contrattaccare, più direttamente attaccando Fabio De Pasquale, capo della sezione Corruzione Internazionale della procura di Milano, e il pm Sergio Spadaro, ora membro della procura europea”. Il riferimento è alle indagini su Eni, in cui era imputata anche Royal Dutch Shell. Ora l’organizzazione esaminerà il comportamento del nostro Paese nella lotta alla corruzione: “Scriviamo per sollecitare che la valutazione dell’Ocse esamini questi attacchi e consideri se l’impegno dell’Italia nel far rispettare le leggi anticorruzione stia declinando”. De Pasquale e Spadaro sono indagati a Brescia nell’inchiesta sul processo per corruzione internazionale che ha visto il Tribunale assolvere in primo grado tutti gli imputati di Eni, sul fascicolo sull’ipotizzato complotto per depistare le indagini e sulle presunte tardive iscrizioni relative alle dichiarazioni dell’avvocato siciliano Amara, ex legale esterno del gruppo petrolifero, e sulla associazione segreta Loggia Ungheria. E così il caso dei verbali di Piero Amara sulla ‘Loggia Ungheria’ è finito sul tavolo dell’Ocse.
Secondo i magistrati che hanno scritto all’Ocse, “visti i fatti, tutti di dominio pubblico e tutti ben noti ai pm di Brescia che indagano, siamo stupiti che abbiano deciso di elevare accuse nei confronti di De Pasquale e Spadaro. Di fronte alle prove, è semplicemente inesplicabile che De Pasquale e Spadaro stiano per essere accusati di un reato”. A loro avviso, comunque, la guerra intestina che si è scatenata all’interno della procura di Milano dovrebbe imporre un intervento dell’Ocse: “La procura di Milano – scrivono – ha fatto da apripista nella lotta alla criminalità societaria in Italia, recuperando centinaia di milioni di euro per lo Stato e i cittadini da imprese nazionali ed estere. Il suo perseguimento dei politici italiani per corruzione ha ispirato i pm di altre nazioni a perseguire figure potenti nei propri Paesi”. Per questo, prosegue la lettera, “l’attacco contro di essa e il suo principale procuratore nel settore della corruzione internazionale dovrebbero essere della massima preoccupazione per l’Ocse”.
Secondo i firmatari, l’indagine in corso a Brescia e l’intera vicenda avrebbe lo scopo di mettere “in discussione le risorse che l’ufficio di Milano ha impiegato in casi di corruzione internazionale”. Per questo chiedono di “valutare attentamente l’impegno dell’Italia nei confronti della Convenzione anticorruzione dell’Ocse. L’Organizzazione dovrebbe insistere affinché l’Italia chiarisca i suoi piani per il futuro dell’Unità Corruzione internazionale di Milano”. Poi concludono: “Se, come temiamo, si tratta di un caso di contrattacco da parte della corruzione, dovrebbe chiarirlo nella sua valutazione. A beneficio dell’Italia, dei suoi cittadini e di tutti coloro che sono impegnati a debellare il flagello della corruzione”.
Nei giorni scorsi De Pasquale e Spadaro hanno chiesto di essere interrogati dopo la chiusura delle indagini. Nell’inchiesta sui casi intrecciati Eni-Nigeria e verbali di Piero Amara, coordinate dal procuratore bresciano Francesco Prete e dai pm Donato Greco e Francesco Carlo Milanesi, è stata già chiusa anche la tranche che vede indagati per rivelazione di segreto d’ufficio, proprio in relazione alle dichiarazioni dell’ex legale esterno di Eni, il pm Paolo Storari e l’ex componente del Csm Piercamillo Davigo. A quest’ultimo Storari avrebbe consegnato quelle carte, a suo dire, per autotutelarsi dall’inerzia dei vertici della Procura milanese nell’indagare sulle rivelazioni di Amara sulla presunta Loggia Ungheria, che potevano avere anche profili di calunnia.