Il procuratore Alessandro Aghemo ha descritto l'imputato come "un bravo ragazzo, serio e studioso" che, proprio a causa delle violenze del padre, soffriva di una sindrome post-traumatica. "Ma il codice - ha spiegato - mi impedisce di chiedere la prevalenza delle attenuanti sull'aggravante del vincolo di parentela". Così ha chiesto ai giudici di sollevare la questione di legittimità costituzionale
Uccise il padre con 34 coltellate per difendere la madre dalle continue violenze dell’uomo. Oggi, a un anno e mezzo circa di distanza dalla tragedia di Collegno, in provincia di Torino, l’accusa ha chiesto 14 anni di carcere per Alex Pompa, studente di 20 anni a processo nel capoluogo. Una richiesta più alta di quella che il pm avrebbe voluto presentare, ha spiegato il procuratore Alessandro Aghemo, che si è detto addirittura “costretto” a proporre una pena così elevata e ha invitato la Corte di Assise a sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla norma che impedisce di concedere la prevalenza delle numerose attenuanti.
Aghemo nel suo intervento in aula ha infatti descritto Alex Pompa, che il 30 aprile 2020 ha tolto la vita al padre Giuseppe Pompa con 34 fendenti usando 6 coltelli diversi, come “un bravo ragazzo, serio e studioso” che, proprio a causa delle violenze continue del padre all’interno dell’ambito familiare, soffriva di una sindrome post-traumatica. E sono proprio queste angherie e vessazioni, secondo il pm, a dover essere enfatizzate: “Giuseppe – ha osservato – si comportava in maniera ingiustificabile, ma ha pagato con la vita. Una pena più alta di quella che avrebbe meritato”. Il magistrato ha comunque aggiunto che “era l’artefice delle sofferenze del figlio” e ha chiamato in causa le attenuanti generiche e della provocazione “per accumulo”. “Ma il codice – ha spiegato – mi impedisce di chiedere la prevalenza delle attenuanti sull’aggravante del vincolo di parentela e quindi una pena inferiore. Valutino i giudici se questa norma è ragionevole”.
Il titolare dell’accusa ha spiegato che la vittima, 52 anni, era una persona “ossessiva, aggressiva, molesta e problematica”. La moglie, Maria Caiola, ha detto in aula che nelle ore precedenti all’omicidio era stata chiamata “101 volte” da lui per questioni di gelosia, aggiungendo che nel corso dei mesi lei e i figli registravano le sue continue sfuriate “perché pensavamo che ci avrebbe ammazzato”.