Più di 1.900 emendamenti e 4.500 ordini del giorno. Sono i numeri con cui le opposizioni al Pirellone cercheranno di contrastare la riforma della Sanità lombarda targata Moratti. O, come la definiscono, la “non riforma”. Perché – dicono – lascia intatti tutti i problemi che derivano da 28 anni di gestione del centrodestra, da Formigoni in poi, e che la pandemia l’anno scorso ha fatto esplodere sotto gli occhi di tutti. La riforma andrà in aula mercoledì 10 novembre e verrà discussa per le prossime tre settimane, dopo che il Pd ha giocato il “jolly”, utilizzabile una volta a consiliatura, di non contingentamento dei tempi della discussione. Mentre il governatore Attilio Fontana, dichiarando la riforma parte rilevante del suo programma di governo, ha reso non ammissibile la votazione a scrutinio segreto sui vari emendamenti. E ha di fatto posto una sorta di fiducia sulla proposta di legge che arriva in consiglio blindata: “La Moratti l’ha calata dall’alto, creando malumori all’interno della stessa maggioranza”, accusa il capogruppo dei democratici Fabio Pizzul nel corso di una conferenza stampa unitaria di tutti i capigruppo di opposizione in Consiglio regionale: Massimo De Rosa per il M5S, Elisabetta Strada (Lombardi Civici Europeisti), Michele Usuelli (+Europa/Radicali) e Niccolò Carretta (Azione). Tra i punti critici, “l’equivalenza” messa nera su bianco nella legge Moratti tra pubblico e privato: un termine “inquietante”, secondo Pizzul, perché “scardina l’organizzazione sanitaria prevista a livello nazionale”.
La proposta di legge della Moratti mantiene in vita le strutture organizzative introdotte da Roberto Maroni nel 2015, nonostante la sua riforma sia stata bocciata dall’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali: le Ats (Agenzie di tutela della salute) e le Asst (Aziende socio sanitarie territoriali), cioè le strutture pubbliche di erogazione, in primis gli ospedali. L’organizzazione della medicina territoriale rimarrà in capo alle Asst, che saranno responsabili anche delle case della comunità, dei centri operativi territoriali e degli ospedali di comunità, cioè le nuove strutture previste dal Pnrr. “Le Ats rimangono e anzi la maggioranza vorrebbe incrementarle – accusa Pizzul – perché sono posti da assegnare sul territorio e la maggioranza ha fame di nomine e di controllo del territorio. L’intera gestione del fondo sanitario regionale passa poi dalla collegialità della giunta al controllo dell’assessorato al Welfare. La vicepresidente Moratti, in pratica, si arroga il diritto di decidere in autonomia sul 75% del bilancio regionale, ponendo il presidente e i colleghi di fronte al fatto compiuto”.
Per Usuelli di +Europa, la nuova riforma non migliora nulla dei più gravi errori commessi negli ultimi 28 anni: “Le funzioni di pianificazione e di accreditamento dei privati rimarranno slegate – accusa – Manca la capacità di pianificare. Il numero dei reparti è anarchico o figlio di pacchetti di voti di scambio. Mentre l’accreditamento non è in capo all’assessore o al direttore generale al Welfare, ma ai direttori di Ats, che hanno le spalle meno larghe dell’amministratore delegato di un’azienda privata convenzionata. Col risultato che si fa scegliere ai privati su che reparti investire e quanti letti avere”.
Lo squilibrio tra pubblico e privato, che secondo le opposizioni verrà aggravato dalla riforma Moratti, è uno degli aspetti su cui il M5S presenterà una pregiudiziale di costituzionalità: “Gli operatori privati scelgono di offrire le cure più remunerative, mentre lasciano quelle più costose al pubblico – dice Massimo De Rosa – Il rapporto pubblico-privato non è basato su criteri di parità, ma di subordinazione. Il privato ha più diritti e meno doveri del pubblico”. Con un rischio aggiuntivo: “Se questa riforma passa, potrà essere mutuata dal resto del Servizio sanitario nazionale”. Per De Rosa, la riforma Moratti lascia tutto com’è, “con una pennellata per accaparrarsi i fondi del Pnrr, senza badare agli interessi dei cittadini”.