L’aumento della privatizzazione dei servizi pubblici locali è un rischio emerso prima del Decreto Concorrenza. Una circolare del Ministero della Transizione Ecologica (MITE) del 12 maggio 2021 ha acceso un campanello di allarme nel Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua Pubblica, che ha lanciato una mobilitazione con la campagna “la carovana dell’acqua”. Iniziativa che il 20 novembre vedrà una tappa nazionale nella città di Napoli, con corteo e assemblea pubblica, chiamando alla partecipazione i sindaci, le parrocchie, le scuole e tutte le realtà che sostengono l’impegno per l’acqua bene comune, a cui parteciperò con convinzione.

La scelta di resistere alla privatizzazione del servizio idrico, garantita anche dalle norme europee che permettono la gestione in house, non può essere utilizzata per sottrarre risorse al Sud. La Commissione Europea ha invece chiesto all’Italia di intervenire sul water service divide per la scarsità dell’acqua, della depurazione, degli investimenti al Sud e che costituisce l’obiettivo principale della Missione 2 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).

Questi obiettivi, però, sono fortemente messi in discussione dalle prime mosse del MITE sui fondi da stanziare per i servizi idrici, che penalizzano fortemente il Mezzogiorno e determinano una malsana accelerazione verso le gestioni industriali delle multiutility escludendo fondi per tutti gli altri. Un ricatto che ci chiede o di rivolgerci agli operatori privati nel centro-nord o di restare per sempre in emergenza non è accettabile, i soldi del Pnrr devono arrivare anche alle aziende pubbliche che gestiscono l’acqua del Sud Italia.

Nel Mezzogiorno d’Italia il comparto idrico è caratterizzato da un’ampia quota di gestione in economia, che in alcuni casi, come l’Azienda Speciale ABC di Napoli, è pienamente in grado di soddisfare gli standard di efficienza e capacità industriali richieste, anche in assenza dell’affidamento d’ambito. Dalla circolare del Ministero della Transizione Ecologica si evidenzia invece che le risorse del Pnrr sono stanziate solo dove sia avvenuta la costituzione degli Enti di governo dell’ambito territoriale ottimale (Egato), organismi istituiti dalle Regioni o Province autonome per ciascun Ambito Territoriale Ottimale (Ato) e dove sia avvenuto l’affidamento del Servizio Idrico Integrato (Sii) a soggetti industriali. La circolare di fatto nega il recupero dei disequilibri economici e di investimento nel centro sud, prevedendo che il 70% delle risorse siano assegnate ai singoli progetti per i quali l’affidamento del Sii sia già avvenuto entro settembre 2021, escludendo così le regioni del sud da una montagna di risorse. Stanziando il restante 30% delle risorse per chi completa l’affidamento entro il 30 giugno 2022 e isolando automaticamente le esperienze di aziende pubbliche e dell’ampia quota di gestioni in economia.

Una tempistica e una suddivisione assurde che negano gli obiettivi della Missione 2 del Pnrr, con l’effetto di escludere dalle risorse del Pnrr destinate alle infrastrutture idriche proprio i comuni del Mezzogiorno (escludendo solo in Campania la città di Napoli e i 31 comuni dell’area nord della Città Metropolitana, le province di Caserta, Avellino e Benevento).

La scelta di un affidamento ad un unico gestore regionale o provinciale cozza con la storia di gestione dei servizi idrici che in provincia di Agrigento e a Napoli hanno portato anche ad una gestione pubblica grazie ai laboratori civici e alle mobilitazioni nati dal basso. È per questo che ho depositato una interrogazione al Ministro Cingolani, chiedendo o il ritiro o i correttivi di questa assurda circolare, e per fare chiarezza su una vicenda che rischia di negare tutti i principi per cui è nato il Pnrr non rendendo questo Paese più resiliente nella gestione dell’acqua, ma solo più disuguale, aggredendo le scelte politiche diverse dalla privatizzazione dei Beni Comuni.

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