Qui la prima puntata e qui la seconda sulla riforma della sanità lombarda
Ospedali
La regione spende 19 miliardi l’anno per il sistema sociosanitario. Tre macrovoci: prevenzione, ospedale, territorio. Gli ospedali (Irccs, monospecialistici, ospedali pubblici e privati), articolo 7, 7ter, 8 e 8bis, debbono tornare a essere un luogo di cura per malati acuti o cronici in fase grave: gestiscono solo la presa in carico tempestiva delle malattie che richiedono trattamenti complessi ed intensivi. Manca in Lombardia un’analisi dei bisogni sanitari della popolazione, premessa per una vera pianificazione: quindi numero di ospedali, dimensioni e tipo di reparti sono arbitrari, quasi anarchici.
Il Dm 70, ignoto in Lombardia, analizza il bacino di utenza di ogni reparto: un reparto di cardiochirurgia pediatrica ogni quattro-sei milioni di abitanti, uno di neurologia ogni 150mila-300mila e così via. Un coraggioso programma di rivalutazione/accorpamento del numero dei reparti che li riducesse in numero, rendendoli più grandi e potenziandoli di staff e delle migliori tecnologie, aprendone altri dove servisse, ridurrebbe i costi sul sistema ospedale, migliorando la qualità del servizio e liberando risorse economiche e umane (un progressivo task shifting) dall’ospedale al territorio.
Questo si deve fare con la cura e l’attenzione con cui si restaurerebbe un mobile del 1600: parlando con i cittadini e con i sanitari, organizzando una rete di trasporti verso i presidi sanitari in collaborazione coi sindaci, negoziando vicino casa servizi sanitari compensatori. Su questo la legge nulla cambia.
La connessione territorio-ospedale
Articolo 16. Areu, agenzia regionale emergenza/urgenza (la cui capacità logistica e rapidità di modularsi ha salvato migliaia di vite durante il Covid), gestisce la operatività del 112, numero di emergenza. “In ottemperanza ad una direttiva europea, secondo le indicazioni regionali e in collaborazione con Ats” deve esistere anche il 116117 per le cure mediche non urgenti a cui però dare subito risposta.
Su questo la legge non cambia, ma il servizio non esiste. Se hai bisogno subito, l’unica risposta lombarda è il pronto soccorso, anche per un attacco di emicrania. Mai la Regione ha investito o considerato che dopo il triage dal 112 si passi al 116117, con un operatore che ti dica: “non vada in pronto soccorso, ma tra un’ora ha appuntamento nel centro di medicina territoriale vicino a casa sua o lontano sei chilometri”. E chieda, se fosse lontano: “ha modo di arrivarci in autonomia o la veniamo a prendere?”
Manca clamorosamente il centro di medicina territoriale cui l’operatore 116117 potrebbe mandarti: le case della comunità, l’assistenza domiciliare infermieristica e gli ospedali di comunità (articolo 10) su cui arriveranno i miliardi del Pnrr. I dati decennali sull’implementazione delle case della Salute in Emilia Romagna mostrano una diminuzione degli accessi in pronto soccorso e una riduzione di ricoveri in ospedale.
In Lombardia hanno già un nome (volutamente incomprensibile): Presst e Pot. Previsti sulla carta da Roberto Maroni nel 2015, mai sostenuti da Regione. I pochissimi che esistono nascono dal basso, senza sostegno, dalla voglia di lavorare insieme di alcuni medici di medicina generale, cocciutamente innamorati del loro lavoro. Hanno abbandonato la solitudine del loro piccolo studio e lavorano in forma aggregata. Lavorano di più, poco aiutati da regione per assunzioni personale ausiliario e affitti, ma fieri del servizio sanitario che offrono.
Sull’edilizia sanitaria per le case della salute e l’equipaggiamento da comprare la Regione è sensibilissima, ma su chi ci lavori e cosa si faccia c’è il nulla. Immagino una forma di lavoro aggregata in casa della salute, coi muri o virtuale che sia aperta tante ore al giorno e tanti giorni a settimana. In cui ci sia personale amministrativo con consolidata esperienza di lavoro in call center, che aiuti a usare il fascicolo sanitario elettronico e che aiuti il cittadino a un cambio di prospettiva. Eccola una vera riforma: quando esci dalla visita del medico non dovrai più avere una ricetta rossa per visita o esame ma un pezzo di carta in cui sia scritta data, ora e luogo in cui hai prenotata la prestazione.
Ciò evita ore al telefono per una lastra tra sei mesi e quindi scegli la libera professione: 27 anni di destra al potere in Lombardia hanno reso gran parte dei cittadini analfabeti nel rapporto con il servizio sanitario regionale (articolo 21). Nulla cambia sulle liste d’attesa: i precedenti Governatori diedero alle aziende pubbliche e private la facoltà di acquistare liberamente il software di prenotazione. Ognuno il suo, tra loro non interoperabili.
Quindi il Cup (centro unico prenotazione) in realtà non esiste: chi vi risponde al telefono non ha le agende con tutte le prenotazioni disponibili. Sogno un software unico per tutte le aziende accreditate e dei corsi di alfabetizzazione sui canali televisivi regionali della Lombardia per usare al meglio il Ssr.
Tornando all’equipe multidisciplinare che deve comporre la casa della salute fisica e/o virtuale, gli infermieri facciano gli infermieri e venga valorizzato il ruolo degli Oss, con le equipe di assistenza domiciliare infermieristica/Oss integrata nelle case della salute: l’anziana da cui vai a casa per cambiare una medicazione deve poterti ritrovare se viene in casa della salute.
Oggi gli infermieri sono un po’ segretari, un po’ assistenti sociali, un po’ mediatori culturali. Quindi qui sì che serve il sindaco (art 20). L’integrazione sociosanitaria sia nelle case della salute e il comune fornisca gli assistenti sociali. Serve il fisioterapista, lo psicologo, il mediatore culturale. Serve una medicina territoriale accessibile agli individui, anche a chi possiede codice Stp (stranieri irregolari). I medici specialisti stiano in ospedale e dedichino tempo ai teleconsulti in casa della salute in cui è presente il paziente, l’infermiere/o il medico collegati. La telemedicina (articolo 10), bella, utile, importante; sembra facile e non lo è.
Regione Lombardia la ha sempre imposta senza pianificarla coi medici di medicina generale. Manca capacità inclusiva e di allineamento con approcci verso i medici, top down, colonialisti! L’assistenza infermieristica domiciliare deve esistere nelle case della salute e l’ospedale di comunità deve avere un’equipe che si moduli con Case e Adi, tipo vasi comunicanti.
L’ospedale di comunità è un luogo sicuro dove si può ricoverare una persona che non può stare a casa la notte; ha una vocazione di bassa intensità di cura (non ci sono Tac, rianimazione, e le cose più costose degli ospedali). C’è sempre un medico ma comanda l’infermiere! Se un paziente che si sta gestendo a casa ha un problema non di rischio di vita, lo si ricovera lì. Se il paziente è quasi in dimissione dopo un ricovero in ospedale ma non è ancora pronto per andare a casa, lo si ricovera lì.