Nessun ripensamento in appello per Google. Il 10 novembre il tribunale generale dell’Unione Europea ha infatti bocciato il ricorso del colosso di Mountain View obbligando la società a pagare la multa da 2,4 miliardi di euro inflittagli dall’Antitrust comunitario nel 2017 con l’accusa di aver fatto concorrenza sleale a società minori specializzate in servizi di ricerche per acquisti online. Una decisione che conferma la linea dura adottata delle autorità di mezzo mondo nei confronti del gruppo guidato da Sundar Pichai, al centro di svariate altre cause dello stesso tipo.
I giudici del Lussemburgo hanno ritenuto che, al termine dell’indagine avviata nel 2010 a seguito delle denunce di TripAdvisor e Twenga, la Commissione Europea abbia “correttamente riscontrato effetti dannosi sulla concorrenza” come conseguenza della pratica attuata dal gruppo in 11 Stati membri tra cui anche l’Italia. In sintesi, la compagnia è stata ritenuta nuovamente responsabile di aver abusato della sua posizione dominante nel mercato dei motori di ricerca per favorire Google Shopping, il proprio servizio di acquisti comparativi, rispetto a quello della altre società, per anni declassati e relegati nella colonna dei risultati generici ogniqualvolta gli utenti si ritrovavano a digitare il nome di un prodotto. A differenza dell’accusa formulata inizialmente, tuttavia, il tribunale ha affermato che il danno prodotto dall’azienda non si estendeva al mercato delle ricerca in generale ma solo ad un suo specifico segmento e così l’ha salvata da una sanzione che avrebbe potuto essere ancora più salata.
La sanzione del 2017 è stata la prima di un trio di decisioni europee che costituiscono il fulcro del tentativo di frenare il crescente dominio dei colossi high tech. Negli anni successivi la Commissione Ue ha infatti multato Alphabet, la società madre di Google, per oltre 8,2 miliardi di euro in totale e sta tuttora indagando sul sospetto controllo esercitato dal gruppo sulla pubblicità digitale. Sempre di recente, la compagnia di Mountain View ha subito una multa da 177 milioni di euro in Sud Corea per le clausole con cui impediva ai produttori di installare versioni alternative del suo sistema operativo sui dispositivi e poco prima ha dovuto pagare altri 100 milioni in Italia per aver favorito Maps rispetto all’app Enel X nella ricerca di servizi per la ricarica dei veicoli elettrici.