E poi non dite che parliamo sempre da ski-haters! La stagione invernale 21-22 si è aperta subito all’insegna dello slalom con il Covid. Altro che skipass solo con il green pass, capienze ridotte e biglietti online: l’industria del turismo dello sci è già alle prese con la quarta ondata che incombe. Lo dicono le mappe del contagio, con le regioni del Nord Est (Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli) sotto pressione, nonché un già significativo trend di incremento anche per la piccola Val d’Aosta: vale a dire le aree dove si trovano le principali destinazioni del turismo anche invernale in Italia. L’antipasto di Halloween con la riapertura delle terme ha fatto suonare un altro campanello d’allarme: se si guarda al dettaglio, per esempio al più 500 casi a Padova, si scopre che il cluster più importante si è verificato in un pugno di alberghi termali di Abano, e che guarda caso tra i 110 contagiati ci sono sia austriaci e tedeschi, sia residenti nella provincia autonoma di Bolzano. Cominciamo bene, e già incombono i mercatini di Natale con le nuove regole per accedere: si parla di un braccialetto o di un timbro dopo il controllo d’ingresso, genere discoteca, ma alcune piccole località hanno già rinunciato a priori, non sapendo bene come effettuare le verifiche.

Il problema di queste aree a forte vocazione turistica che rischiano di essere martoriate dalla quarta ondata non è tanto e solo l’ostinazione con cui una parte della popolazione resiste alla campagna vaccinale: come ripetono in questi giorni il sindaco e le autorità locali di Bolzano (che ha uno zoccolo intorno al 23 per cento di no-vax), parliamo di territori dove non solo passano a frotte i visitatori da Paesi sotto attacco, ma ci sono qualcosa come ventimila pendolari al giorno. E a migliaia stanno arrivando ancora i lavoratori stagionali del turismo. Anche su questo fronte, la questione pandemica incide pesantemente, considerando la situazione drammatica di alcune delle nazioni europee, Romania e Croazia in primis, da cui tradizionalmente proviene gran parte della forza lavoro nel settore. Non è un mistero che sia agricoltura sia turismo nel nord Italia vivono di manodopera a tempo determinato, che si muove perlopiù dall’Est e dai Balcani.

Quando si parla del personale indispensabile per riassettare le camere o pulire le cucine da Cortina a Merano, non siamo ai bla-bla-bla da convegno degli economisti sul ‘mismatch’ del 30 per cento tra domanda e offerta di lavoro, o sulla crisi della retorica del ‘workism’ e la ‘great resignation’, come dicono gli americani: l’effetto dimissioni volontarie innescatosi con il lavoro a casa può riguardare giusto uno chef stellato o un manager alberghiero. Qui siamo invece di fronte ai problemi concreti relativi al controllo dei flussi migratori, che il Covid ha ulteriormente appesantito. Persino piccole grandi questioni come il riconoscimento del vaccino russo Sputnik, per ora non ammesso, paiono a molti ostacoli insormontabili.

Infine, guardate anche solo le recenti immagini della contestata chiusura giudiziaria, con tanto blocchi di cemento armato, del ristorante no green pass di Zermatt (in Svizzera senza controlli relativi al Covid si può sciare, sì, ma viceversa sono obbligatori nelle strutture ricettive). Viene facile notare quanto nel mondo del turismo in montagna l’insofferenza alle regole sia un atteggiamento diffuso. Capitava di toccare con mano quest’estate, in val d’Aosta o in Lombardia, cioè in regioni segnate parecchio dalla pandemia, quanto poco effettuassero i controlli dei green pass ristoranti e rifugi, compresi alcuni tra i più blasonati del Club Alpino Italiano. Altro che modello tedesco delle tre G (Geimpft, Getestet, Genesen, ossia vaccinato, testato o guarito) che ora si vorrebbero ridurre a due, per escludere i tamponati. Lo spettro dell’atteggiamento dei gestori andava da un ostentato ‘chissenefrega’ a teorizzare che non spetti al rifugista controllare nemmeno l’identità degli ospiti che si fermano a dormire. Ecco, quale svolta rigorista potrà mai maturare con piste e impianti pieni?

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