Il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha disposto gli arresti domiciliari per l’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli arrestato lo scorso 19 ottobre per concorso esterno nell’ambito dell’inchiesta “Mala Pigna”, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria. Il Riesame ha, quindi, accolto parzialmente il ricorso degli avvocati Guido Contestabile e Salvatore Staiano, difensori di Pittelli già coinvolto nel maxi-processo “Rinascita-Scott”, istruito dalla Dda di Catanzaro. Per quell’inchiesta l’avvocato Pittelli si trovava agli arrestati domiciliari nella sua abitazione dove nelle settimane stato raggiunto dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini Vincenza Bellini su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e dei sostituti della Dda Gianluca Gelso, Paola D’Ambrosio e Giorgio Panucci.
Secondo i pm che hanno coordinato l’inchiesta “Mala pigna” contro la cosca Piromalli, Pittelli era a disposizione della ‘ndrangheta. Al centro dell’indagine condotta dai carabinieri c’era un traffico di rifiuti gestito dall’imprenditore Rocco Delfino, massone e uomo di fiducia dei Piromalli ma anche confidente dei servizi segreti e di pezzi infedeli dello Stato. Proprio con Delfino, conosciuto con il soprannome di “u Rizzo”, aveva avuto rapporti Giancarlo Pittelli che, secondo la Dda era “uomo politico, professionista, faccendiere di riferimento avendo instaurato con la ‘ndrangheta uno stabile rapporto ‘sinallagmatico’”.
Stando alle risultanze investigative, infatti, l’ex senatore di Forza Italia avrebbe garantito “la sua generale disponibilità nei confronti del sodalizio a risolvere i più svariati problemi degli associati, sfruttando le enormi potenzialità derivanti dai rapporti del medesimo con importanti esponenti delle istituzioni e della pubblica amministrazione”. L’avvocato Pittelli, infatti, aveva “illimitate possibilità di accesso a notizie riservate e a trattamenti di favore”. È questo il motivo per il quale “veicolava informazioni – è scritto nel capo di imputazione – all’interno e all’esterno del carcere tra i capi della cosca Piromalli detenuti in regime carcerario ai sensi dell’articolo 41 bis”.
Il riferimento è al boss Giuseppe Piromalli detto “Facciazza” e al figlio Antonio per i quali, secondo i pm, avrebbe svolto il ruolo di “‘postino’ nella perizia balistica relativa all’omicidio del giudice Antonino Scopelliti”, il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione ucciso il 9 agosto del 1991 in un agguato a Campo Calabro, nel reggino, mentre rientrava a casa a bordo della sua autovettura. In particolare, stando all’impianto accusatorio, l’ex parlamentare avrebbe sottoposto all’attenzione dell’imprenditore Rocco Delfino, ritenuto “soggetto di estrema fiducia” della cosca di Gioia Tauro, “una missiva proveniente da Antonio Piromalli finalizzata a far risultare un pagamento tracciato e quietanzato per il consulente tecnico che avrebbe dovuto redigere la consulenza per conto di Giuseppe Piromalli detto ‘Facciazza’ indagato quale mandante, in concorso con altri capi di cosche di ‘ndrangheta e di Cosa nostra siciliana, dell’omicidio del giudice Scopelliti facendosi portavoce delle esigenze della cosca”.
Secondo i magistrati, Pittelli avrebbe pianificato “un sistema al fine di eludere la tracciabilità del denaro necessario alle strategie difensive, proveniente da profitti criminali”. Tutte accuse, queste, che l’ex senatore ha respinto durante l’interrogatorio di garanzia e anche durante l’udienza davanti al Tribunale del Riesame che nelle prossime settimane depositerà le motivazioni per le quali ha revocato la misura cautelare in carcere sostituendola con gli arresti domiciliari.