L’inchiesta coinvolge anche un gruppo di albanesi che avrebbero aiutato lui e i suoi complici nelle loro operazioni finanziarie. La Dia, che lo scorso dicembre su disposizione della Corte di Appello gli ha confiscato l’intero patrimonio, scrive che "a partire dalla fine degli anni ’60 fu tra i principali responsabili del 'sacco di Palermo', ordito dal noto esponente politico mafioso Vito Ciancimino, realizzando un impero edile di circa 2.700 immobili"
Francesco Zummo, 90enne imprenditore di Palermo plurindagato e socio dell’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, è finito ai domiciliari con le accuse di riciclaggio e autoriciclaggio aggravati dalla transnazionalità in un’inchiesta della Procura di Palermo alla quale hanno collaborato la Dda di Napoli e la Procura Anticorruzione albanese. Arrestato anche il commercialista Fabio Petruzzella, fratello di una magistrata palermitana: longa manus del costruttore, lo avrebbe aiutato a far sparire, sottraendoli alla confisca, 19 milioni spostati sul conto di una banca a Tirana. Zummo, si legge in una nota della Dia che lo scorso dicembre su disposizione della Corte di Appello gli ha confiscato l’intero patrimonio, “a partire dalla fine degli anni ’60, con il consuocero Vincenzo Piazza (ritenuto consigliere della famiglia mafiosa di Palermo-Uditore) e il defunto socio nonché suo fedele braccio destro Francesco Civello, fu tra i principali responsabili del ‘sacco di Palermo’, ordito dal noto esponente politico mafioso Vito Ciancimino, realizzando un impero edile di circa 2.700 immobili”.
L’inchiesta coinvolge anche un gruppo di albanesi che avrebbero aiutato Zummo e i suoi complici nelle loro operazioni finanziarie – le misure restrittive nei loro confronti sono state disposte dalla Procura di Tirana – e Daniele Castagalli, indagato dalla Procura di Napoli nell’ambito di un’altra indagine e sottoposto a fermo dalla Procura partenopea. L’inchiesta palermitana è coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Marzia Sabella. Ex socio di Ciancimino, Zummo venne indagato anche dal giudice Giovanni Falcone e fu condannato in primo grado a 5 anni per favoreggiamento e associazione mafiosa e poi assolto in appello. Nel 2001 gli vennero sequestrati beni per circa 150 milioni di euro. Decine di pentiti lo hanno accusato di avere spostato in istituti di credito all’estero e in particolare in Svizzera grosse somme di denaro di provenienza illecita, di aver riciclato il tesoro di Ciancimino e del “sacco” edilizio di Palermo e di essere stato in passato “a disposizione” di Cosa nostra.
Una fortuna, quella accumulata dal costruttore palermitano, dalle alterne sorti giudiziarie. La confisca non passò il vaglio del Tribunale e della Corte d’appello che disposero per Zummo la sola misura di prevenzione personale, ma gli restituirono i beni. La Cassazione, però, annullò le sentenze e dispose un nuovo giudizio di secondo grado che decise la confisca dell’intero patrimonio. Prima della sentenza, temendo un nuovo provvedimento patrimoniale, il costruttore, secondo gli inquirenti, avrebbe cercato di far sparire il denaro portandolo all’estero. Ad agosto scorso, la Procura Anticorruzione albanese ha segnalato ai Pm di Palermo di aver bloccato un conto aperto dall’imprenditore in una banca greca a Tirana con 19 milioni di euro provenienti da istituti di credito svizzeri. Ad aiutare Zummo a occultare il denaro sarebbe stato Petruzzella, commercialista palermitano che vive a Milano. Decisive le intercettazioni a suo carico. Anche lui avrebbe aperto un conto in Albania. Nell’ambito dell’inchiesta, che ha scoperto oltre ai 19milioni del conto albanese, disponibilità economiche riconducibili a Zummo per milioni di euro in altri istituti di credito, la Dia ha eseguito un maxisequestro. Nel registro degli indagati figura anche il figlio del costruttore, Ignazio.
Tra i beni confiscati lo scorso anno ci sono undici aziende, centinaia di conti correnti e immobili costituiti da numerosi appartamenti, ville terreni e aziende agricole a Palermo e provincia e cinque complessi residenziali nella provincia di Siena. L’imprenditore, nonostante fosse vicino alla famiglia mafiosa della Noce prima ed a quella dell’Uditore poi, ricoprì secondo i giudici “un ruolo trasversale rispetto alla guerra di mafia che portò vari boss ad alternarsi per la conquista dell’egemonia sulla città e la provincia”. Fu prestanome e custode dei proventi del narcotraffico, oggetto dell’indagine Pizza Connection, riconducibili ai boss Gaetano Badalamenti e ai Gambino, a Leonardo Greco e Michelangelo Aiello e di quelli, sempre di provenienza illecita, di Fulvio Lima, nipote dell’eurodeputatto ucciso dalla mafia Salvo Lima. La protezione che Zummo poteva vantare, in cambio di tangenti ed appartamenti, a suo tempo attirò le attenzioni investigative dell’allora giudice Istruttore Falcone, poi confermate dalle rivelazioni di numerosi collaboratori di giustizia. Quando la Corte d’Appello di Palermo, nel 2020, ribaltando i precedenti verdetti, confiscò il patrimonio del costruttore, mise nero su bianco che il patrimonio accumulato era il risultato dell’esercizio di una “vera e propria impresa mafiosa”.