L’inclusione di un meccanismo che garantisca finanziamenti per perdite e danni subìti dai Paesi in via di sviluppo a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici, l’eliminazione graduale (anche se annacquata) dei sussidi al carbone e ai combustibili fossili, l’articolo 6 che dispone la nascita di un mercato mondiale del carbonio con regole condivise per compensare le emissioni e la proposta agli Stati di rivedere i propri impegni per ridurre le emissioni già entro la fine del 2022. Sono questi i punti caldi rimasti sul tavolo dei negoziati della Cop 26 di Glasgow fino alla fine. Anche nelle undici bozze pubblicate in mattinata e relative a diversi documenti, compreso quello finale. Durante la plenaria informale che si sarebbe dovuta tenere alle 13 (ora italiana), ma è slittata a qualche ora dopo, le perplessità dei Paesi sul testo sono venute fuori. “Credo che quello presentato stamani risponda alle aspettative che gli Stati hanno rappresentato qui a Glasgow in modo equilibrato. Riflette il compromesso di tutti. Il mondo guarda a noi, vuole un accordo qui”, ha dichiarato il presidente della Cop26, Alok Sharma, aprendo la plenaria. Ma i Paesi che chiedono finanziamenti per ‘danni e perdite’ sembrano più disposti al compromesso, rispetto a quelli che dovrebbero dire gradualmente addio ai sussidi alle fonti fossili.

LA BOMBA “PERDITE E DANNI” – Durante la plenaria, però, è venuto subito fuori quello che è diventato un vero banco di prova per le economie più forti. Per dimostrare di fare la loro parte e sostenere concretamente le nazioni che, pur inquinando di meno, stanno pagando di più la crisi climatica in atto Usa, Unione Europea e Regno Unito hanno bloccato la proposta di creare una struttura per la finanza su ‘perdite e danni’, avanzata dall’Aosis (Alliance of Small Island States, un’organizzazione intergovernativa di piccoli paesi costieri e insulari) e dalla più grande organizzazione intergovernativa dei paesi in via di sviluppo delle Nazioni Unite, il Gruppo dei 77+Cina. Si parla, in tutto, di paesi che rappresentano l’85% della popolazione mondiale. Nel testo si menzionano dei ‘fondi’ che verranno forniti alla rete di Santiago per l’assistenza a questi Paesi, che però chiedono un meccanismo di consegna specifico per i finanziamenti che, tra l’altro, tenga conto anche dei danni già subiti a causa delle conseguenze del riscaldamento e, quindi, dell’azione dei Paesi più ricchi. Ed è qui che si è incontrato l’ostacolo di Stati Uniti ed Europa. Di fatto, la richiesta è rimasta fuori dalle ultime versioni del documento. I Paesi interessati ne sono delusi.

“L’ultima bozza è un chiaro tradimento delle nazioni ricche (Stati Uniti, Eu e UK) verso le comunità vulnerabili nel paesi poveri”, ha detto al quotidiano britannico Guardian Tasneem Essop, direttore esecutivo di Climate Action Network, coalizione internazionale di oltre 1500 ong in 130 Paesi. “È motivo di profonda preoccupazione che la proposta dei paesi in via di sviluppo per uno strumento di finanziamento per le perdite e dei danni non sia stata inclusa in questa nuova bozza” ha commentato Tracy Carty, capo della delegazione COP26 di Oxfam. In plenaria, a nome del G77 + Cina, il rappresentante della Guinea ha spiegato che, sebbene fossero delusi da alcuni dei paragrafi su ‘perdite e danni’, in uno spirito di compromesso, ritengono che il testo vada nella giusta direzione. Anche altri Stati si dicono pronti al compromesso, ma la sensazione è che molte nazioni non abbiano alternativa. Così ha preso la parola Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea: “Sentendo gli interventi precedenti, mi domando se non rischiamo di inciampare negli ultimi metri di questa maratona. Io capisco tutto quello che dicono i paesi in via di sviluppo, che vogliono più finanze. Ma non uccidete questo momento. Il testo riflette bene il rispetto che la presidenza della Cop ha avuto per tutti i paesi”. Mentre l’inviato Usa per il clima, John Kerry, alla plenaria ha detto: “Se è stata una buona negoziazione, tutte le parti sono a disagio. E questa è stata, credo, una buona trattativa”.

L’ELIMINAZIONE GRADUALE (E ANNACQUATA) DEI FINANZIAMENTI ALLE FONTI FOSSILI – Altro tema infuocato, anche in plenaria, è stato di fatto quello dei combustibili fossili. Le ong avevano espresso molti dubbi sul fatto che rimanesse nelle ultime bozze il riferimento all’eliminazione graduale dell’energia del carbone (ma solo quella con emissioni che non si possono abbattere con tecnologie, come la cattura e lo stoccaggio) e dei sussidi per i combustibili fossili (ma solo quelli ritenuti ‘non efficienti’). Resta l’obiettivo della graduale eliminazione, anche se si parla di “sforzi di accelerazione verso” e non di una richiesta diretta. Il direttore esecutivo di Greenpeace International, Jennifer Morgan aveva messo in guardia: “La plenaria di oggi potrebbe essere un momento decisivo con un gruppo di paesi che cercano di eliminare quella linea dall’accordo e diluire i piani”.

Timori fondati stando alle parole di Faisal bin Fadel bin Mohsen Al-Ibrahim, il ministro dell’Economia e della Pianificazione dell’Arabia Saudita che, in un’intervista a Repubblica, ha fatto riferimento a Vision 2030, il piano di rinnovamento dell’economia saudita che punta a far salire al 65% la percentuale di Pil non dipendente dal petrolio, sottolineando però “che nella maggior parte degli scenari futuri gli idrocarburi giocheranno un ruolo di primo piano nel mix energetico”. Di fatto, il delegato della Cina, dopo il riavvicinamento con gli Usa, ha definito il testo “per nulla perfetto” e, pur non volendo riaprire il testo della bozza, suggerisce alcune modifiche e sottolineando la necessità di “equilibrio”. Il delegato indiano, invece, non si è mostrato per nulla soddisfatto, ricordando come le nazioni ricche abbiano beneficiato dei combustibili fossili e affermando “che i sussidi ai combustibili fossili possono essere utili”. Anche il delegato del Sudafrica ha criticato il paragrafo 36 del testo, nella quale (nonostante tutti i limiti) si menziona per la prima volta in un testo della COP una graduale eliminazione dei sussidi al carbone e ai combustibili fossili. “Taglia unica non è una buona soluzione”, ha detto. Ma anche per l’Iran ci sono perplessità sulla graduale eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili. “Come nazione in via di sviluppo dobbiamo utilizzare i combustibili fossili per lo sviluppo economico” ha commentato il delegato, chiedendo una modifica del testo.

FINANZA PER LE POLITICHE DI ADATTAMENTO – Nell’ultima bozza del documento principale si conferma la richiesta di raddoppiare i fondi per le politiche di adattamento ai Paesi in via di sviluppo entro il 2025 (anche per raggiungere un equilibrio tra le risorse finanziarie destinate alla mitigazione e all’adattamento) e si chiede ai paesi sviluppati di raggiungere con urgenza l’obiettivo di 100 miliardi di dollari (già mancato dal 2020). Nelle prime bozze si faceva riferimento alla data del 2023, quella entro la quale, secondo l’Ocse, si sarebbero pagati quei primi 100 miliardi. Nelle ultime versioni, invece, si fa riferimento alla data del 2025, ossia entro cui – secondo le promesse fatte nel 2009 a Copenaghen – si dovrebbe mobilitare la somma complessiva di 600 miliardi di dollari. “Il riferimento al 2023 poteva essere inteso come una volontà di non rispettare l’impegno complessivo” spiega a ilfattoquotidiano.it Mauro Albrizio, direttore dell’Ufficio europeo di Legambiente, secondo cui “in questo modo si rafforza proprio l’obiettivo dei 600 miliardi”. Tra le bozze, a riguardo, c’è anche la decisione “di convocare dialoghi ministeriali ad alto livello sulla finanza climatica nel 2022, 2024 e 2026” e l’invito rivolto alla presidenza della Cop27, che l’anno prossimo si svolgerà in Egitto, a organizzare il dialogo ministeriale di alto livello nel 2022 sui progressi nel completamento dell’obiettivo di stanziare complessivamente 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020”. Per il delegato delle Maldive è un “passo in avanti, ma non in linea con i progressi necessari. Sarà troppo tardi per le Maldive”, ma anche il delegato del Gabon è preoccupato: “Nella bozza di documento finale della Cop26 il problema più grande per l’Africa è la mancanza di fondi per l’adattamento al cambiamento climatico e per i danni e le perdite. Non possiamo tornare in Africa senza un affidabile pacchetto per l’adattamento”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Barriere coralline a rischio estinzione: “Poche aree protette dall’Unesco e ricerca insufficiente mentre le acque si surriscaldano”

next
Articolo Successivo

Cop26, “gli attivisti devono continuare a rimanere arrabbiati”. Le voci dei giovani ambientalisti a Glasgow

next