Davide Faraone è sicuro: è come ai tempi della fine del governo Conte 2, dice, Italia Viva sembrava sull’orlo del tracollo e invece “siamo tutti esattamente dove ci avete lasciati, al nostro posto”. Cioè “con Matteo Renzi“. E ora che in gioco non c’è più Palazzo Chigi, ma il Quirinale “riprende la giostra” si lamenta, “ma non vi stancate mai?”. Se lo dice il capogruppo al Senato dei renziani bisognerà credergli per forza. Intanto però c’è un senatore, Leonardo Grimani, che sul Fatto di oggi dice che non gli piace affatto l’accordo con Forza Italia in Sicilia, che non ci pensa nemmeno ad andare a destra, che “Matteo si deve dedicare all’attività parlamentare e meno a quella di conferenziere” (in Arabia Saudita, in particolare), che la Bestia sui social le cui attività e strategie sono state ricostruite da questo giornale negli ultimi giorni è ciò su cui “per anni abbiamo attaccato il M5s e la Lega”. E c’è un deputato, Camillo D’Alessandro, che avverte che “se qualcuno in Iv immagina un secondo tempo a destra, io non sono d’accordo e ha sbagliato partito”. Perfino Gennaro Migliore – che sui cambi di partito potrebbe ottenere la cattedra all’università – a Rep.it dice: “Il 90% di Iv è di centrosinistra, incluso Renzi. Nessuno di noi, incluso Renzi, passerà mai a destra. Lo dimostrano le ultime amministrative, che ci hanno visti alleati praticamente ovunque”. E allora in Sicilia?, gli chiedono. “Per me, e non solo per me, si tratta di un’eccezione, che comunque io non approvo e che non voglio neppure immaginare possa diventare una strategia nazionale“. E
ppure nelle stesse ore il suo leader sembra ben impegnato a farsi terra bruciata intorno: se il suo giudizio sul M5s e Conte – al millesimo ascolto – si può dare per archiviato, ora va a testa bassa anche contro il Pd. “E’ il partito del bla bla bla – dice, scippando e svalutando l’espressione usata da Greta Thunberg – che gioca a tentare di dividere le persone che ha accanto e sacrifica il vero disegno strategico e lo si è visto con il Ddl Zan. L’obiettivo è il Presidente della Repubblica” e “pensano che si possa arrivare a creare la maggioranza per il Presidente della Repubblica giocando a dividere. Con ciò non capendo nulla di dinamiche in Parlamento, perché il Parlamento elegge un presidente della Repubblica se gioca a unire in questa fase, non a dividere: più dividi, più lontano sarà il quorum, mi sembra che il Pd da questo punto di vista sia impegnato in altre vicende”. Più uno sfogo che una polemica politica. E non proprio un lasciapassare per rientrare – ammesso che l’ex premier lo voglia davvero, cosa improbabile in apparenza – in un’eventuale coalizione a cui aggrapparsi per ottenere la sopravvivenza politica.
Quello che c’è da capire è se il suo avvitamento lento ma progressivo in corso da mesi lo porterà all’isolamento anche dentro al suo stesso partito dal formato tascabile, esistente e forse decisivo per l’elezione del presidente della Repubblica, sbriciolato fino alla polvere dentro le urne e di poco vincente sulla voce “Altri” nei sondaggi politico-elettorali. All’indomani dell’ultima performance televisiva in cui è riuscito a non rispondere a nessuna domanda, scegliendo come unica linea difensiva l’attacco personale ai giornalisti, Repubblica.it ricostruisce che sarebbero una decina i parlamentari sull’uscio, cosa che Faraone appunto smentisce, quasi incredulo. Al Senato, oltre a Grimani, a riflettere sul da farsi sembra solo Mauro Maria Marino, parlamentare ormai al terzo mandato, di carriera Ppi-Margherita. Alla Camera, oltre a D’Alessandro, Repubblica.it indica Giacomo Portas, leader della piccola forza dei Moderati che però di solito conta su un soddisfacente gruzzolo di voti in Piemonte, Gianfranco Librandi (imprenditore di Saronno, già fuoriuscito prima da Forza Italia e poi da Scelta Civica e poi dal Pd), Massimo Ungaro (giovane eletto all’estero con il Pd, di cui fondò un circolo a Londra), Maria Chiara Gadda (varesotta di Tradate, al secondo mandato) e Catello Vitiello, avvocato napoletano eletto grazie al M5s ma espulso prima ancora del voto perché massone: prima di arrivare coi renziani ebbe il merito di costituire la componente del Misto “Sogno Italia-10 volte meglio”.
In attesa di smentite, riconferme o integrazioni alla lista c’è il ragionamento generale per cui un partito del 2 per cento con qualsiasi legge elettorale, anche la più proporzionale che esiste, non ha nemmeno più il sogno di rientrare in Parlamento, a maggior ragione con oltre 300 seggi in meno a disposizione. E quindi ora che la legislatura – che sembrava dovesse essere senza fine grazie al governissimo con tutti dentro – non si sa bene che orizzonte abbia, è ragionevole che sia ora il momento del “si salvi chi può”. L’impressione è che ci sia spazio, ormai, solo per il Giglissimo, da Maria Elena Boschi a Ettore Rosato, da Faraone stesso a Luciano Nobili. Fuori da questo perimetro dei fedelissimi, sempre secondo Repubblica.it, c’è invece qualcuno che si è già presentato alla porta di Azione di Carlo Calenda, che ha più possibilità dell’alleato che lo ha appena accolto festante nel raggruppamento macroniano di Strasburgo, Renew Europe. Erano andati via in tempo, da questo punto di vista, il deputato lucano Vito De Filippo e il senatore Eugenio Comincini, che – cosparso il capo di cenere – sono tornati all’ovile ai tempi del fallito tentativo del Conte 3. Non è un caso, dunque, che proprio a Otto e mezzo, all’ultimo minuto di trasmissione sia stato Renzi a dire di avere “l’impressione che, se si continua così, si va a votare nel 2022 e questo sarebbe un male per il Paese. C’è uno sfilacciamento delle forze politiche che non mi piace e non mi convince”. Come sempre più spesso gli succede ultimamente, però, l’avvertimento interno potrebbe avere il risultato inverso, di spaventare chi cerca un lido più sicuro della basculante barchetta di Italia Viva in mezzo alla buriana.
Venerdì sera sarà lui a inaugurare la Leopolda, l’undicesima, che arriva mentre il leader deve fare i conti con un’inchiesta per finanziamento illecito ai partiti, con atti dell’indagine che ricostruiscono una macchina dei consensi come quelle di Salvini o Trump, con l’accusa di ricevere soldi da un regime dittatoriale che ammazza i giornalisti, con la prospettiva di un futuro limitata all’oggi. Chi tiene in vita in Parlamento la minuscola forza politica che Renzi capeggia comincerà giocoforza a tenerne conto. Secondo Repubblica.it proprio dopo la Leopolda partirebbe la scialuppa di salvataggio dei parlamentari pronti a mollare il leader e, ora che comincia ad avvicinarsi per davvero la partita per il Quirinale, venire accolti chissà dove.