Sono stata a presentare il mio libro Piccoli amori sfigati (Beisler) in una scuola media a Tor Bella Monaca, estrema periferia di Roma. Un edificio coloratissimo circondato da un giardino delizioso, fiori e piante curate da una mano raffinata. Intorno i casermoni grigi dello spaccio. Li vedi i pusher che si aggirano di giorno come formiche operose, neri con i cappucci delle felpe calati, a poche centinaia di metri dalla scuola. In un contesto così difficile (disoccupazione, droga, mancanza di servizi, no taxi, bus impossibili, punto di raccolta di senza tetto e migranti), sorprendentemente la cultura sboccia come un fiore nella pietra.

Ho conosciuto donne formidabili che fanno cultura in condizioni critiche. Alessandra Laterza ha aperto una libreria nel cuore del quartiere che è diventato un punto di riferimento per tutti. La preside della scuola che mi ha ospitato invece vive a Napoli e fa la pendolare ogni giorno. Si sveglia alle 5, va a dormire alle 21. “Ci si abitua” dice “e poi amo il mio lavoro”. Non le ho chiesto per delicatezza quanto guadagna e chi paga gli spostamenti (forse in treni regionali dove il green pass non è di moda).

Con i ragazzini di 12 anni della seconda media ho parlato di emozioni, di amore, di paure, come è mia abitudine. “Quanto conta per voi l’apparenza, la bellezza, sul web e fuori dal web?” e poi “di quale parte del vostro corpo – cosce, occhi, orecchie, seno, sedere, gambe – vi vergognate?” ho domandato. Le ragazzine hanno disegnato il seno, inesistente per alcune o già troppo sviluppato per altre. I maschi di se stessi non amano naso, orecchie e gomiti (sono spigolosi e, come le ginocchia, sbattono contro tutto e ti fai male). La bellezza conta per non essere scherniti o bullizzati sui social e per fare bella figura su profili TikTok e Instagram. Facebook ora più che mai è roba da vecchi, da boomers.

Ma il discorso è caduto anche sugli incontri in chat con estranei. Mi hanno spiegato i ragazzini sveglissimi di Torbella che hanno i loro metodi per beccare il pedofilo di turno… pare che la foresta del web sia popolata di numerosi lupi travestiti da agnelli. Nel caso specifico, da pedofili travestiti da bambini. “Come li scoprite?” chiedo. “Semplice, dal lessico” dice Marco. “Fingono di parlare come noi ma sbagliano i termini del gioco, anche certe parole inglesi che noi conosciamo le pronunciano male. Insomma fanno finta di essere piccoli ma sono grandi. “E allora tu che fai?” chiedo. “Semplice, li blocco”. “Ma ne parli ai tuoi genitori?”. “ Solo a volte, in genere mi arrangio da solo”.

Sono senza parole. Lo sapranno i poliziotti postali e gli adulti in genere che i bambini sono accorti investigatori e fini psicologi interpreti del linguaggio, del “lessico”? E ancora: i loro genitori la usano la colta parola “lessico”? Ne dubito.

Continua il mio sorprendente viaggio tra i teen…

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